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Lo spazio del monastero

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Il monastero non è solo un edificio dove i monaci e le monache vivono in comunità sotto la guida di un abate o una badessa. Non è solo uno spazio fisico, architettonico e materiale. Le sue mura non chiudono, non limitano. Al contrario. Aprono, indicano una direzione. Non segnano una fuga dal mondo, ma un diverso modo di rapportarsi. Creano uno spazio “altro”, trascendente, elevato da un certo tipo di quotidianità. 
La ricerca di Dio è la stella polare di chi lo abita, alimentata dal celibato, dalla comunione e dall’obbedienza e la piena adesione all’insegnamento evangelico. E sostenuta  da una vita che rifugge il superfluo e si rivolge all’essenziale. Da un’esistenza che si fonda sull’umiltà (“la sola che beatifica ed eterna le virtù”, per Bernardo di Chiaravalle), la preghiera (“un dialogo che la parola di Dio conduce e dove noi non possiamo essere che gli ascoltatori”, per Von Balthasar), la solitudine (“l’occasione per ricercare con gli altri una comunione più profonda in Dio”, per Enzo Bianchi), la povertà (come “spogliazione di sé, riduzione all’essenziale delle esigenze di ciascuno”, sempre per il priore della Comunità di Bose) e il lavoro (“una delle caratteristiche che distinguono l'uomo dal resto delle creature”, secondo l’enciclica Laborem Exercen di Giovanni Paolo II). 
Il monaco non è solo e non si muove in un orizzonte privo di riferimenti o ancoraggi, ma appartiene a una lunga tradizione che va da Elia a Pacomio (che, per primo, intuì “la forma da dare alla comunità, plasmata secondo il modello della santa koinonía, nella quale ciascuno si fa servo dell’altro, ‘lava i piedi al fratello’), da Girolamo a Benedetto, figure differenti unite dalla medesima tensione verso Dio. E dalla medesima volontà di vivere radicalmente il Vangelo, “regola assoluta e suprema”. Al di là della forma, e prima di ogni regola, ciò che conta è la disposizione, la tensione che anima e dirige l’esistenza. Gesù, che “si è fatto obbediente fino alla morte”, è il modello, il “sia fatta la Tua  volontà” il fondamento. L’obbedienza ultima non si ha nei confronti dell’abate, che pure ha un ruolo importante, di guida e padre spirituale della comunità, ma nei confronti di Dio, di cui il monastero è pratica, occasione e tramite.