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Le periferie che bruciano

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E ora? Che succede? Cosa ci aspetta?
A questo punto  viene la tentazione di non pensarci. Di tenere le domande lontane. Di spegnere le televisioni e chiudere i giornali. Di ripararci nelle poche sicurezze che sono rimaste. Di ridurre il tempo (passato, presente, futuro) a un punto fisso e definito (l’istante). Di non fare progetti, di non volare alto. Anzi, più che una tentazione si tratta di una necessità: in fondo, che scelta rimane quando non ci sono i soldi per mangiare o pagare la scuola ai figli, oppure quando il lavoro manca e, se c'è, assorbe ogni energia.
Giorno dopo giorno la vita si appiattisce sulla necessità, sul bisogno, sul “produci, consuma, crepa” di Giovanni Lindo Ferretti.  
Ma quando anche la sopravvivenza vacilla, viene messa in pericolo, la reazione può essere scomposta. Rabbiosa. Confusa. Violenta.

 

I fatti di questi giorni parlano chiaro, sono lo spaccato di un Paese sull’orlo di una crisi di nervi (visto che in quella economica e sociale ci è già ampiamente precipitato).
A cosa ci riferiamo? 
Non occorre andare lontano:
-Roma: la borgata di Tor Sapienza si infiamma, i residenti sono sul piede di guerra, ce l’hanno con gli “zingari”, i “negri”, le “scimmie”. Sono razzisti? Alcuni, pochi; la maggior parte è semplicemente arrabbiata. E stanca. E delusa. E frustrata. E sola. E indignata.
-Milano: le case occupate diventano la miccia di una conflittualità senza quartiere, che coinvolge occupanti, richiedenti, militanti dei centri sociali, forze dell’ordine e cittadini impotenti e disorientati, che non capiscono dove stia la ragione.
-Genova (e altre – troppe – città): una serie di acquazzoni straordinari – ma, in qualche modo, prevedibili: siamo in novembre, no? – causa danni impressionanti a cose, case e persone.
In generale: il malessere cresce, la speranza decresce. E le “periferie esistenziali” diventano qualcosa di più che un’immagine o una metafora cara al Santo Padre.
Di cosa si tratta?

 

Le periferie esistenziali sono luoghi dove “c’è sofferenza e sangue versato”, segnati dalla “povertà fisica e intellettuale”, che hanno bisogno della luce del Vangelo, perché “lì nessuno lo fa brillare, lo evoca, vi allude”. Posti che devono rivivere, rigenerando le radici sulle quali sono sorti: “Terra, casa e lavoro sono diritti sacri”, dice Francesco. “Esigere ciò non è affatto strano, è la dottrina sociale della Chiesa”.
Dopodiché prosegue: “Dio creò l’uomo custode della sua opera, affidandogli l’incarico di coltivarla e di proteggerla […]. L’accaparramento di terre, la deforestazione, l’appropriazione dell’acqua sono alcuni dei mali che strappano l’uomo dalla sua terra natale. Questa dolorosa separazione non è solo fisica ma anche esistenziale e spirituale”. E, poi, continua, la casa: “Oggi ci sono tante famiglie senza casa o perché non l’hanno mai avuta o perché l’hanno persa per diversi motivi. Famiglia e casa vanno di pari passo! Ma un tetto, perché sia una casa, deve anche avere una dimensione comunitaria: il quartiere. Ed è proprio nel quartiere che s’inizia a costruire questa grande famiglia dell’umanità, a partire da ciò che è più immediato, dalla convivenza col vicinato”. Infine il lavoro: “Non esiste peggiore povertà materiale — mi preme sottolinearlo — di quella che non permette di guadagnarsi il pane e priva della dignità del lavoro. La disoccupazione giovanile, l’informalità e la mancanza di diritti lavorativi non sono inevitabili, sono il risultato di una previa opzione sociale, di [...] una cultura dello scarto che considera l’essere umano di per sé come un bene di consumo, che si può usare e poi buttare.

 

Parliamo di terra, di lavoro, di casa. Parliamo di lavorare per la pace e di prendersi cura della natura. Ma perché allora ci abituiamo a vedere come si distrugge il lavoro dignitoso, si sfrattano tante famiglie, si cacciano i contadini, si fa la guerra e si abusa della natura? Perché in questo sistema l’uomo, la persona umana è stata tolta dal centro ed è stata sostituita da un’altra cosa. Perché si rende un culto idolatrico al denaro. Perché si è globalizzata l’indifferenza! Si è globalizzata l’indifferenza: cosa importa a me di quello che succede agli altri finché difendo ciò che è mio? Perché il mondo si è dimenticato di Dio, che è Padre; è diventato orfano perché ha accantonato Dio […].
Non si può affrontare lo scandalo della povertà promuovendo strategie di contenimento che unicamente tranquillizzano e trasformano i poveri in esseri addomesticati e inoffensivi. Che triste vedere che, dietro a presunte opere altruistiche, si riduce l’altro alla passività, lo si nega o, peggio ancora, si nascondono affari e ambizioni personali: Gesù le definirebbe ipocrite. Che bello invece quando vediamo in movimento popoli e soprattutto i loro membri più poveri e i giovani. Allora sì, si sente il vento di promessa che ravviva la speranza di un mondo migliore. Che questo vento si trasformi in uragano di speranza. Questo è il mio desiderio”.