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La violenza, i cristiani, il mondo

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Mentre l’Europa è sorpresa dalla “formidabile” (parole sue) vittoria elettorale di Angela Merkel e l’Italia continua a guardarsi l’ombelico, mentre l’Africa è sconvolta dall’ennesima violenza (a proposito, quando cominceremo a pensare davvero al continente africano, che, dopo avere sfruttato per secoli, stiamo abbandonando al suo destino – a un destino altamente infiammabile) e le grandi potenze discutono della questione mediorientale, facendo e togliendo ultimatum mentre, in Siria, si seguita a sparare, i cristiani nel mondo continuano a morire.
È storia recente:
domenica 22 settembre circa cinquecento fedeli lasciano la chiesa anglicana di Pshawar, nel nord del Pakistan, dopo aver preso parte alla funzione.
Camminano in fila, si dirigono verso il prato, dove è offerto del riso. 
Tra loro ci sono due militanti di Jundallah, i “soldati di Allah”, un gruppuscolo legato ad Al Qaeda, che se ne frega della democrazia, del tentativo di importarla e di molto altro. Sono carichi di esplosivo, dai sei agli otto chili.
È un attimo. 
La prima esplosione. 
La seconda esplosione. 
Tra il fumo e le macerie, restano a terra oltre duecento corpi. I dati ufficiali parlano di ottantuno morti, tra cui trantaquattro donne e sette bambini, e circa centoquaranta feriti, alcuni in modo critico.
La rivendicazione arriva poco dopo: l’attacco sarebbe una ritorsione per i raid dei droni americani nelle zone tribali del Paese. In poche parole, gli estremisti attaccano i cristiani per colpire gli Usa e i paesi occidentali. È una spiegazione che dice tanto, ma non tutto. Non basta a giustificare il più grande attacco alla comunità cristiana (circa il 4% della popolazione) nella storia recente del Pakistan. Non basta a motivare tutto questo odio.
Papa Francesco, in visita pastorale in Sardegna, definisce l’attacco “una scelta sbagliata di odio e di guerra”.
Il nunzio apostolico in Pakistan, mons. Parra, invita a pregare per la pace nel mondo, di cui “oggi più che mai abbiamo bisogno”.
Di fronte a tanta violenza rimaniamo storditi. Ci interroghiamo su come si possa uscire da questa spirale. La storia recente ha insegnato che la via militare non basta. Al contrario.
È ora che l’Islam si metta in marcia, che prenda coscienza e isoli le minoranze criminali che infangano il nome di una delle religioni più diffuse al mondo. E che l’Occidente apra agli occhi e si dia da fare perché quella parte di mondo trovi condizioni di vita degne, e soprattutto le giovani generazione riprendano a sperare in un futuro in cui la violenza non sia l'unica soluzione.