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La scuola, la società e l'autorità

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Un presupposto: quando parliamo di scuola ci riferiamo sia a quella pubblica che a quella privata. Non è questa l’occasione per creare distinguo. Ciò che qui interessa sono le dinamiche che si sviluppano al suo interno e le questioni che sollevano. Una, soprattutto: quella relativa all’autorità.
Andiamo per gradi, partendo da una constatazione tanto semplice quanto significativa: la scuola non è la semplice somma dei saperi che si tramandano di generazione in generazione né un semplice contenitore. Non è un’entità statica, astratta o isolata dal mondo, bensì, al contrario, è lo specchio della società.
E cos’è la società se non un insieme di relazioni (giuridicamente normate)?
Ecco, la scuola è pressoché lo stesso.
L’aspetto disciplinare (umano) ha la stessa importanza di quello didattico. All’interno di mura spesso scrostate e male illuminate, il bambino e poi il ragazzo si forma come individuo (in quanto cittadino, in quanto persona), rompe con una prospettiva egotica e si confronta con gli altri. I compagni, prima. I professori, poi.
Questo è il punto che ci interessa.
La relazione alunno-insegnante non è paritetica. Non può esserlo. Non deve.
Perché?
Semplice, l’insegnante ha un bagaglio di conoscenze ed esperienze superiore. Il resto (il talento, la curiosità, lo spirito critico dello studente) non conta. O, meglio, viene dopo. Il punto di partenza resta invariato (nella sua semplicità): chi sa insegna, chi non sa apprende. Questo non significa che il professore, e l’adulto in generale, non tragga insegnamenti nel rapporto con i più giovani (anzi…), ma, in ultima istanza, lui sta in cattedra, loro ai banchi, lui parla, loro ascoltano.
In teoria, almeno.
Complice lo sfaldarsi della società, gli equilibri sono cambiati. Sarà banale, ma è un esempio efficace: qualche anno fa, i genitori incontravano i professori, poi, a casa, riferivano (più o meno serenamente…) ai figli; da un po’ accade l’inverso: i genitori ascoltano le lamentele dei figli e se la prendono con i professori.
E non va bene.
Significa confondere i riferimenti. Procedere senza una direzione. Essere superficiali e arroganti. In poche parole: dimenticare da dove proveniamo. Non rispettare chi siamo.