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"La Misericordia cambia tutto"

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La misericordia è un tema caro a Bergoglio.
Non a caso il suo stemma papale riporta il motto miserando atque eligendo, l’espressione con la quale san Beda il Venerabile commenta la vocazione di San Matteo (Om. 21), in particolare il modo in cui Gesù lo guarda (non con gli occhi del corpo, ma quelli dell’amore e della bontà interiore) e lo invita a seguirlo. 
Allo stesso modo, nel corso del suo primo Angelus, Francesco, dopo avere citato il libro del cardinale Kasper, ricorda l’episodio della adultera che Gesù salva dalla lapidazione (Gv 8,1-11): “Colpisce il suo atteggiamento: non sentiamo parole di disprezzo, non sentiamo parole di condanna, ma soltanto parole di amore”. 
La misericordia è una disposizione così presente nel pontificato di Bergoglio che, poco alla volta, ne è diventata il filo rosso, l’architrave della Chiesa che ha in mente: un “ospedale da campo dopo la battaglia”, che cura i feriti e accoglie gli sconfitti, e chi vive ai margini dell’esistenza; una Chiesa che ha le porte spalancate (soprattutto per chi ha peccato e si è autenticamente pentito), come le braccia del padre della parabola che accoglie il figliol prodigo e lo stringe a sé prima ancora di ascoltare le sue giustificazioni e la richiesta di perdono (Lc 15,17-24).

 

Così, prima di parlare del Giubileo straordinario convocato da Francesco il 15 marzo 2015, vale la pena soffermarsi su ciò che lo ispira, la misericordia appunto.
Che non è una emozione, una disposizione d’animo o un banale sentimento di compassione, ma, al tempo stesso, non è neppure un concetto astratto o un atto di giudizio slegato dal mondo.
Dunque, quid est?
Monsignor Fisichella, presidente del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione nonché responsabile organizzativo dell’Anno Santo, dice che “è il volto di Cristo che va incontro a tutti […], il motivo per cui è salito sulla croce e ha dato la vita per il mondo intero e non solo per i suoi amici”. 
Per il cardinal Bagnasco, presidente della Cei, “è il cuore di Dio che si è avvicinato alla nostra miseria e l’ha condivisa sino alla fine” mentre per Enzo Bianchi, priore di Bose, è la testimonianza dell’amore di Dio, di “un amore che prova per l’uomo mentre l’uomo è peccatore, mentre è suo nemico, mentre lo nega e lo bestemmia; è un amore scandaloso che Gesù ha rivelato con la sua vita offerta a Dio e spesa per gli uomini, fino all’estremo dono di sé sulla croce”.

 

Papa Francesco ne parla in tanti modi, come del “messaggio più forte del Signore”, della “sostanza del Vangelo” e della “carezza di Dio sulle ferite dei nostri peccati”. Che non scompaiono, ma, al contrario, rappresentano la “condizione di possibilità” della misericordia, che nasce proprio dal riconoscimento del male e dal pentimento che apre alla riconciliazione: il cristiano non odia, non serba rancore e non cerca vendetta, ma perdona. E, facendolo, compie un atto di fede verso Dio e l’essere umano: “Nessuno è il suo errore”, dice don Mauro Cozzoli, teologo della Pontificia Università Lateranense. “Nessuno è un assassino, un ladro, uno spacciatore. Agli occhi di Dio siamo sempre persone, mai materiale di scarto.”

La misericordia, allora, è la parola che sintetizza tutta la Rivelazione, è “amore che va oltre la giustizia” e permea il Creato, un movimento “discendente” (dice Simone Weil: “la presenza di Dio quaggiù”) e ascendente (tramite il quale l’uomo si riscatta e si eleva dall’immediatezza sensibile e dai bisogni materiali), che, con Enzo Bianchi, dà “consolazione a ogni uomo e donna del nostro tempo”.