La Leggenda del Grande Inquisitore
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“Tu vuoi andare nel mondo e ci vai a mani vuote, con la promessa di una libertà che gli uomini, nella loro semplicità e nel loro disordine innato non possono neppure concepire…
Tu promettesti loro il pane celeste, ma può questo pane paragonarsi a quello terreno? E se migliaia di esseri Ti seguiranno in nome del pane celeste, che ne sarà però dei milioni e dei miliardi che non avranno la forza di disprezzare il pane terreno per quello celeste? Oppure a Te sono cari solo quei pochi uomini bravi e forti?...
Tu volesti il libero amore dell’uomo, volesti che Ti seguisse liberamente, incantato e conquistato da Te…
Tu non scendesti dalla croce quando per schernirti e provocarti Ti gridavano “Scendi dalla croce e crederemo che sei proprio Tu”. Non scendesti perché non volesti rendere schiavo l’uomo con un miracolo, perché avevi sete di una fede nata dalla libertà e non dal miracolo…
Noi abbiamo corretto la Tua opera, l’abbiamo basata sul miracolo, sul mistero e sull’autorità. E gli uomini si sono rallegrati che finalmente il loro cuore sia stato liberato da un dono così terribile.”
F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov.
Terribile libertà
La Leggenda del Grande Inquisitore, contenuta nel romanzo I fratelli Karamazov , è il manifesto del pensiero religioso di Dostoevskij. Un pensiero che non procede dalla libertà a Dio (come fa Kant), ma da Dio alla libertà.
Nella leggenda, raccontata dall’ateo Ivan Karamazov al fratello Aloşa, Gesù riappare sulla terra a Siviglia ai tempi della Santa Inquisizione e viene imprigionato come eretico. Il Grande Inquisitore si reca da lui nella notte e lo apostrofa lungamente sul problema del valore della libertà per l'uomo.
Alla libertà, dono terribile che Dio ha voluto fare agli uomini, il Grande Inquisitore oppone il miracolo, il mistero e l’autorità. Una “correzione” dell’opera divina più compassionevole nei confronti degli uomini deboli, i non eletti, quelli che non “hanno la forza di disprezzare il pane terreno per quello celeste”, gli uomini schiacciati dal determinismo delle condizioni, quelli che non riescono a rovesciare il quadro. Paradossalmente, il Grande Inquisitore denuncia una mancanza d’amore nel dono di questa terribile libertà. La salvezza perché sia davvero pietosa deve riguardare tutti gli uomini, i forti e i deboli. E invece “due saranno nel campo; l’uno sarà preso e l’altro lasciato” (Matteo 24:40). E i deboli? E chi tra le troppe vie, più o meno plausibili non ha saputo scegliere la fede? Forse l’amico lasciato nel campo, liberamente non ha voluto alzare la testa… o non ha potuto.
La terribile libertà che denuncia il Grande Inquisitore o una teologia del miracolo e della predestinazione. Di entrambe è difficile comprenderne la giustizia.
La leggenda del Grande Inquisitore termina così: Gesù, che ha ascoltato fino in fondo e in silenzio il suo vecchio accusatore, lo bacia dolcemente. Come a suggerire nell’amore, comunque, la risposta. Una terza via, tra la libertà e il mistero.
Il problema più spinoso per il credente è Unde Malum ? Da dove viene il male, e perché? Il paradosso della presenza di Dio e del male portò il filosofo Leibniz, nel 1700, al conio del termine “teodicea”, la filosofia che indaga il rapporto tra Dio e la giustizia.
Il filosofo ebreo Jonas, dopo la follia dell’Olocausto in alcune sue riflessioni arriva ad affermare che l’uomo deve rassegnarsi ad accettare che l’Onnipotente o è privo di bontà o è totalmente incomprensibile, proprio alla luce dell’ingovernabilità del libero arbitrio.
La Leggenda del Grande Inquisitore solleva temi che non smettono di interrogare l’uomo perché hanno a che fare con la sostanza dell’esercizio della libertà e con il senso stesso dell’esistenza e del suo esito nella morte.
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