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La Giornata del migrante e del rifugiato

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Il forestiero. L’anziano. Il malato. Il povero. Il tossicodipendente. Il carcerato. Il senza-dimora. In una parola, l’ultimo, l’emarginato. Che è caduto o è stato spinto ai margini della civiltà, che soffre, piange e urla senza che nessuno gli presti attenzione, che si vergogna o si sente in colpa, che fa di tutto per darsi una nuova opportunità o, più spesso, si è convinto di non averne più. A lui, a chi fatica, a chi tenta di restare in piedi nonostante la tormenta, va il nostro pensiero.
In occasione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato (12 gennaio), ci concentriamo su una figura particolare, lo straniero. Su chi è stato costretto a lasciare la sua terra (che non è solo uno spazio fisico, ma anche e soprattutto culturale e affettivo), ad attraversare mari e montagne in condizioni spesso disperate, ad affrontare il freddo, il buio, il caldo, la fame e la sete, a sopportare ingiustizie, minacce e umiliazioni, a fare i conti con l’incertezza e il pregiudizio, a dimenticare il suo passato per sognare un futuro che è sempre troppo lontano. Per raggiungere, come dice papa Francesco, “un mondo migliore”.
Ecco le sue parole:
“Le nostre società stanno sperimentando, come mai è avvenuto prima nella storia, processi di mutua interdipendenza e interazione a livello globale, che, se comprendono anche elementi problematici o negativi, hanno l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita della famiglia umana, non solo negli aspetti economici, ma anche in quelli politici e culturali […]. Che cosa comporta la creazione di un “mondo migliore”? Questa espressione non allude ingenuamente a concezioni astratte o a realtà irraggiungibili, ma orienta piuttosto alla ricerca di uno sviluppo autentico e integrale, a operare perché vi siano condizioni di vita dignitose per tutti, perché trovino giuste risposte le esigenze delle persone e delle famiglie, perché sia rispettata, custodita e coltivata la creazione che Dio ci ha donato. Il nostro cuore desidera un “di più” che non è semplicemente un conoscere di più o un avere di più, ma è soprattutto un essere di più. Non si può ridurre lo sviluppo alla mera crescita economica, conseguita, spesso, senza guardare alle persone più deboli e indifese. Il mondo può migliorare soltanto se l’attenzione primaria è rivolta alla persona […]. Migranti e rifugiati non sono pedine sullo scacchiere dell’umanità. Si tratta di bambini, donne e uomini che abbandonano o sono costretti ad abbandonare le loro case per varie ragioni, che condividono lo stesso desiderio legittimo di conoscere, di avere, ma soprattutto di essere di più […]. Ogni essere umano è figlio di Dio! In lui è impressa l’immagine di Cristo! Si tratta, allora, di vedere noi per primi e di aiutare gli altri a vedere nel migrante e nel rifugiato non solo un problema da affrontare, ma un fratello e una sorella da accogliere, rispettare e amare, un’occasione che la Provvidenza ci offre per contribuire alla costruzione di una società più giusta, una democrazia più compiuta, un Paese più solidale, un mondo più fraterno e una comunità cristiana più aperta, secondo il Vangelo. Le migrazioni possono far nascere possibilità di nuova evangelizzazione, aprire spazi alla crescita di una nuova umanità, preannunciata nel mistero pasquale: una umanità per cui ogni terra straniera è patria e ogni patria è terra straniera”.