"L'umanità ha bisogno di ponti, non di muri"
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L’uomo dispone di un potere relativo e limitato, eppure tremendo: la possibilità di scegliere, di comportarsi in modo retto e morale, in accordo con il disegno di Dio; la libertà di costruire ponti oppure muri.
In occasione del venticinquesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino papa Francesco ha detto: “Preghiamo perché, con l’aiuto del Signore e la collaborazione di tutti gli uomini di buona volontà, si diffonda sempre più una cultura dell’incontro, capace di far cadere tutti i muri che ancora dividono il mondo, e non accada più che persone innocenti siano perseguitate e perfino uccise a causa del loro credo e della loro religione. Dove c’è un muro, c’è chiusura di cuore. Servono ponti, non muri!”.
In realtà basta allungare il collo al di là del proprio orticello per rendersi conto che il mondo è pieno di barriere, recinzioni e steccati, materiali e soltanto pensati.
Nonostante lo scetticismo che ne accompagna la costruzione, ad esempio, Israele sta realizzando la “chiusura di sicurezza”, un muro lungo settecento chilometri che lo divide dalla Cisgiordania. Uno strumento di difesa, dicono gli israeliani. Un modo per proteggersi dagli attacchi kamikaze. Che, probabilmente, avrà anche questo effetto: gli altri effetti, però?
Poi c’è la “zona demilitarizzata” coreana, la striscia di terra lunga duecentocinquanta chilometri, che divide Corea del Nord e Corea del Sud dalla seconda metà del Novecento. Un’area cuscinetto. Una striscia di pace assoluta. Il confine più armato del Pianeta.
E cosa dire della barriera di separazione costruita dagli Stati Uniti lungo il confine con il Messico, nel tratto che va da Tijuana a San Yisidro in California? Ventidue chilometri di lamiere e filo spinato, con tanto di telecamere a infrarossi, rilevatori notturni di movimento e torri di controllo. Il suo obiettivo è fermare gli immigrati clandestini. Che, però, non si fermano – nonostante i tentativi di pacificazione la guerra tra lo Stato e i cartelli della droga continua a insanguinare il paese – e, per evitare la barriera, si avventurano attraverso il deserto dell’Arizona o il Rio Bravo: le statistiche parlano di seimila morti in meno di quindici anni.
Poi c’è l’isola di Cipro, grande meno di Sicilia e Sardegna, dove la “linea verde” eretta nel 1974 separa la comunità greca da quella turca. E, ancora, gli indipendentisti russi in Ucraina, quelli scozzesi in Gran Bretagna e quelli catalani in Spagna, e, in Italia, la Padania che sta diventando una categoria del passato, sostituita da una generica “Italia ed Europa dei Popoli”.
Ogni popolo e nazione ha le sue ragioni. Che siano la sicurezza, il benessere o la difesa della propria identità fa lo stesso: sono tutte motivazioni valide e fondate.
Il problema è ciò che si portano dietro, le pratiche e gli atteggiamenti che le distorcono.
Prendiamo l’identità: è un principio alto e nobile, la condizione di possibilità della nostra esistenza. Banalmente: se non sappiamo da dove veniamo siamo persi.
L’identità, però, non coincide con la chiusura o il ripiegamento su se stessi. Al contrario: chi si conosce ed è saldo in ciò che crede guarda l’altro negli occhi e, nel caso, gli allunga la mano per aiutarlo a rialzarsi. Detto in altre parole: solo chi ha le radici ben piantate nel terreno ha un futuro.
Ma le radici non sono un corpo morto, ma una parte viva, che si intreccia con le altre e condivide la stessa terra su cui sono cresciute. Che non vuole dire: “Siamo tutti uguali”, ma, dice il Santo Padre, “impegnarci perché l’umanità possa superare le frontiere dell’inimicizia e dell’indifferenza, a costruire ponti di comprensione e di dialogo, per fare del mondo intero una famiglia di popoli riconciliati tra di loro, fraterni e solidali. Di questa nuova umanità la Chiesa stessa è segno ed anticipazione, quando vive e diffonde con la sua testimonianza il Vangelo, messaggio di speranza e di riconciliazione per tutti gli uomini”.
Significa sapere che le identità dette e ridette e ri-urlate sono delle crepe che incidono la superficie ghiacciata, piano piano piano si allargano e creano delle voragini: quelle in cui rischia di cadere l’umanità
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