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L'anno della Vita Consacrata

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Il 2015 è l’anno dedicato alla Vita Consacrata, quel modo d’essere che rifugge le logiche mondane (che definiscono la persona in base alla famiglia, al lavoro o altri accidenti) e celebra Dio come "unico criterio di identificazione”.
Per cogliere il significato di una scelta così radicale riportiamo un estratto della lunga lettera che il 28 novembre 2014 papa Francesco ha rivolto a tutti i consacrati.

 

Innanzitutto Bergoglio stabilisce il primo "obiettivo" della celebrazione: "Guardare al passato con gratitudine".
Alle origini di ogni Istituto di vita consacrata, scrive il Santo Padre, è "presente l’azione di Dio che, nel suo Spirito, chiama alcune persone alla sequela ravvicinata di Cristo, a tradurre il Vangelo in una particolare forma di vita, a leggere con gli occhi della fede i segni dei tempi, a rispondere con creatività alle necessità della Chiesa […]. Non si tratta di fare dell’archeologia o di coltivare inutili nostalgie, quanto piuttosto di ripercorrere il cammino delle generazioni passate per cogliere in esso la scintilla ispiratrice, le idealità, i progetti, i valori che le hanno mosse, a iniziare dai Fondatori, dalle Fondatrici e dalle prime comunità […]. Narrare la propria storia è rendere lode a Dio e ringraziarlo per tutti i suoi doni […]".
In secondo luogo, "quest’Anno ci chiama a vivere il presente con passione […]. La domanda che siamo chiamati a rivolgerci è se e come ci lasciamo interpellare dal Vangelo; se è davvero il 'vademecum' per la vita di ogni giorno e le scelte che siamo chiamati a operare. Esso è esigente e domanda di essere vissuto con radicalità e sincerità. Non basta leggerlo (eppure lettura e studio rimangono di estrema importanza), non basta meditarlo (e lo facciamo con gioia ogni giorno). Gesù ci chiede di attuarlo, di vivere le sue parole […].
Abbracciare il futuro con speranza vuole essere il terzo obiettivo. Conosciamo le difficoltà cui va incontro la vita consacrata nelle sue varie forme: la diminuzione delle vocazioni e l’invecchiamento, soprattutto nel mondo occidentale, i problemi economici a seguito della grave crisi finanziaria mondiale, le sfide dell’internazionalità e della globalizzazione, le insidie del relativismo, l’emarginazione e l’irrilevanza sociale... Proprio in queste incertezze, che condividiamo con tanti nostri contemporanei, si attua la nostra speranza, frutto della fede nel Signore della storia che continua a ripeterci: 'Non aver paura... perché io sono con te' (Ger 1,8). La speranza di cui parliamo non si fonda sui numeri o sulle opere, ma su Colui nel quale abbiamo posto la nostra fiducia (cfr 2 Tm 1,12) e per il quale 'nulla è impossibile' (Lc 1,37)".

 

A questo punto, Francesco passa alle attese, a cosa si aspetta  per questo anno di grazia:
"Che sia sempre vero quello che ho detto una volta: 'Dove ci sono i religiosi c’è gioia'. Siamo chiamati a sperimentare e mostrare che Dio è capace di colmare il nostro cuore e di renderci felici, senza bisogno di cercare altrove la nostra felicità, che l’autentica fraternità vissuta nelle nostre comunità alimenta la nostra gioia; che il nostro dono totale nel servizio della Chiesa, delle famiglie, dei giovani, degli anziani, dei poveri ci realizza come persone e dà pienezza alla nostra vita [...]. Anche noi, come tutti, proviamo difficoltà, notti dello spirito, delusioni, malattie, declino delle forze dovuto alla vecchiaia. Proprio in questo dovremmo trovare la 'perfetta letizia', imparare a riconoscere il volto di Cristo che si è fatto in tutto simile a noi e quindi provare la gioia di saperci simili a Lui che, per amore nostro, non ha ricusato di subire la croce […].
Mi attendo che 'svegliate il mondo', perché la nota che caratterizza la vita consacrata è la profezia […]. Il profeta riceve da Dio la capacità di scrutare la storia nella quale vive e di interpretare gli avvenimenti: è come una sentinella che veglia durante la notte e sa quando arriva l’aurora (cfr Is 21,11-12) [...]. Il profeta sta abitualmente dalla parte dei poveri e degli indifesi, perché sa che Dio stesso è dalla loro parte […]. Monasteri, comunità, centri di spiritualità, cittadelle, scuole, ospedali, case-famiglia e tutti quei luoghi che la carità e la creatività carismatica hanno fatto nascere, e che ancora faranno nascere con ulteriore creatività, devono diventare sempre più il lievito per una società ispirata al Vangelo, la “città sul monte” che dice la verità e la potenza delle parole di Gesù […].
I religiosi e le religiose, al pari di tutte le altre persone consacrate, sono chiamati ad essere “esperti di comunione” [….], si tratta di perseguire l’accoglienza e l’attenzione reciproche, di praticare la comunione dei beni materiali e spirituali, la correzione fraterna, il rispetto per le persone più deboli… È 'la 'mistica' di vivere insieme' che fa della nostra vita 'un santo pellegrinaggio'."
Al tempo stesso, continua il Pontefice, si tratta di aprire, anzi spalancare le porte della Chiesa: "Attendo da voi quello che chiedo a tutti i membri della Chiesa: uscire da sé stessi per andare nelle periferie esistenziali […]. C’è un’umanità intera che aspetta: persone che hanno perduto ogni speranza, famiglie in difficoltà, bambini abbandonati, giovani ai quali è precluso ogni futuro, ammalati e vecchi abbandonati, ricchi sazi di beni e con il vuoto nel cuore, uomini e donne in cerca del senso della vita, assetati di divino…  Non ripiegatevi su voi stessi, non lasciatevi asfissiare dalle piccole beghe di casa, non rimanete prigionieri dei vostri problemi. Questi si risolveranno se andrete fuori ad aiutare gli altri a risolvere i loro problemi e ad annunciare la buona novella. Troverete la vita dando la vita, la speranza dando speranza, l’amore amando  […].

 

Infine Beroglio indaga gli orizzonti dell'anno della Vita Consacrata, gli ambiti che coinvolge:
"Con questa mia lettera, oltre che alle persone consacrate, mi rivolgo ai laici che, con esse, condividono ideali, spirito, missione […]. Mi rivolgo a tutto il popolo cristiano perché prenda sempre più consapevolezza del dono che è la presenza di tante consacrate e consacrati, eredi di grandi santi che hanno fatto la storia del cristianesimo […]. 
Con questa mia lettera oso rivolgermi anche alle persone consacrate e ai membri di fraternità e comunità appartenenti a Chiese di tradizione diversa da quella cattolica […]. Camminare insieme è sempre un arricchimento e può aprire vie nuove a rapporti tra popoli e culture che in questo periodo appaiono irti di difficoltà […]. 
Mi rivolgo infine in modo particolare ai miei fratelli nell’episcopato. Sia questo Anno un’opportunità per accogliere cordialmente e con gioia la vita consacrata come un capitale spirituale che contribuisce al bene di tutto il corpo di Cristo e non solo delle famiglie religiose. La vita consacrata è dono alla Chiesa, nasce nella Chiesa, cresce nella Chiesa, è tutta orientata alla Chiesa. Per questo, in quanto dono alla Chiesa, non è una realtà isolata o marginale, ma appartiene intimamente ad essa, sta al cuore stesso della Chiesa come elemento decisivo della sua missione, in quanto esprime l'intima natura della vocazione cristiana e la tensione di tutta la Chiesa Sposa verso l'unione con l'unico Sposo; dunque 'appartiene irremovibilmente alla sua vita e alla sua santità'".