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Il senso del digiuno

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L'appello di papa Francesco, scandito in piazza San Pietro e ribadito in una lettera indirizzata a Vladimir Putin, presidente in carica del G20, ha avuto un effetto dirompente. Merito delle sue parole. Del tono in cui le ha espresse. Della sua capacità di raggiungere una “platea” ampia ed eterogenea, anche lontana dalle parrocchie.
Le adesioni si moltiplicano di ora in ora. Dai politici (i ministri Bonino, Mauro, Lupi, Kyenge, D'Alia, il presidente dell’Europarlamento, il socialista Schulz) alle personalità del mondo dello spettacolo (Adriano Celentano) e dello sport (Federica Pellegrini), dalle associazioni e i movimenti e le diocesi sparse per l’Italia ai rappresentanti delle altre confessioni (il gran muftì di Siria, Ahmad Badreddin Hassou, e il rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni).
Il Santo Padre è fermo nelle sue posizioni: “La pace”, scrive in un tweet, “è un bene universale”. È l’opposto della guerra, che è causa di fame, morte e miseria. Come tale, va difesa, promossa e sostenuta. Il digiuno va in questa direzione. Ma non basta. O, meglio, va praticato con cura, consapevolmente. Detta male, non si digiuna perché è trendy e non si sceglie di farlo così come si sceglie di andare a teatro.
Il digiuno coinvolge l’uomo nella sua totalità, come unità di spirito e corpo. È una pratica che appartiene alla storia della Chiesa, alla sua prassi penitenziale. Nel digiuno, come nell’astinenza e nella preghiera, l’uomo non nega se stesso, ma, al contrario, si afferma aprendosi a Dio, chiedendo perdono per i propri peccati e implorando il suo aiuto. Il riferimento a Cristo, alla sua morte e risurrezione, è essenziale a definirne il senso autentico:  "Qualsiasi pratica di rinuncia", scriveva l’allora presidente della Cei, il cardinal Ruini, "trova il suo pieno valore, secondo il pensiero e l’esperienza della Chiesa, solo se compiuta in comunione viva con Cristo, e quindi se è animata dalla preghiera ed è orientata alla crescita della libertà cristiana, mediante il dono di sé nell’esercizio concreto della carità fraterna”.