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Il potere di Francesco

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Forse avremmo dovuto aspettarcelo. Il “buonasera” con cui si era rivolto a una piazza San Pietro gremita, il giorno della sua elezione al soglio pontificio, avrebbe dovuto farcelo intuire. Però, diciamocela tutta, giorno dopo giorno papa Francesco continua a stupire. Ed è uno stupore vivo, partecipe. Entusiasta. Era ciò di cui la Chiesa, dalle gerarchie vaticane ai milioni di fedeli sparsi in ogni angolo del Pianeta, aveva bisogno. Arrivavamo da un periodo tormentato. Dopo il lungo ed energico pontificato di Giovanni Paolo II, Joseph Ratzinger si era trovato a condurre la barca di Pietro attraverso acque agitate, e lo aveva fatto con un'onestà, una dedizione e uno spirito di “servizio” (parola quanto mai cara al suo successore) straordinari. Con Benedetto XVI, la Chiesa cattolica ha proseguito il suo cammino millenario, facendosi forza dei principi contenuti nel Vangelo. E quando Ratzinger ha deciso di "servire la Croce in modo nuovo", siamo rimasti con il fiato sospeso. Disorientati. 
"E ora?"
Ora è arrivato questo uomo robusto, con lo sguardo fermo e benevolo, che ci ha salutato come se ci conoscesse da una vita: “Fratelli e sorelle", sono state le sue prime parole, "buonasera!”. Un uomo che è venuto dalla "fine del mondo", che si è fatto carico delle nostre ansie, aspettative e speranze, e che giorno dopo giorno ha impresso un suo personalissimo “stile”.
Noi ci siamo messi in scia, con un
a curiosità e una disponibilità che non provavamo da tempo. 

 

Basta ascoltare i suoi discorsi, concentrarsi sulle sue parole (che non sono la semplice somma delle lettere che le compongono, ma lo specchio di un’anima, di un progetto, di una intenzionalità; una sorta di manifesto programmatico). Papa Francesco ricorre a un vocabolario semplice, umano, umanissimo. Parla di tenerezza, di grazia, di paura. Riporta la fede alla quotidianità, alle emozioni che colorano la vita di tutti i giorni. Durante la celebrazione della Veglia Pasquale del Sabato Santo ha detto: “Siamo spesso stanchi, delusi, tristi, sentiamo il peso dei nostri peccati, pensiamo di non farcela […].Non chiudiamoci in noi stessi, non perdiamo la fiducia, non rassegniamoci mai”.
Cavolo (permettetecelo)! In questo periodo di crisi, in cui tante persone si sentono tristi, sole e abbandonate, schiacciate a terra da un futuro che non riescono neppure a immaginare, le sue parole sono ossigeno, aria fresca. Sono una mano che si allunga nella nostra direzione e ci aiuta a rialzarci. 
Con Francesco, ci pare, la fede riscopre la semplicità del focolare domestico. E, al tempo stesso, la sua apertura. La sua curiosità. La sua disponibilità: "Non chiudiamoci”, ha continuato, “alla novità che Dio vuole portare nella nostra vita!". Papa Francesco non ha paura, e ci invita a non averne. Sa essere profondo e leggero, antico e moderno. Riceve in dono e mostra la maglia della sua amata squadra di calcio, il San Lorenzo, mentre attraversa piazza San Pietro e nel giorno del Venerdì Santo si toglie la mitria e si prostra sul pavimento della Basilica all'inizio del rito dell'adorazione della Croce; saluta i fedeli con il pollice alzato e il Giovedì Santo compie il rito della lavanda non in Laterano, ma nella prigione minorile di Casal del Marmo. E lava i piedi a dodici ragazzi. E due sono femmine. E una è musulmana.

 

Papa Francesco non cerca il colpo a effetto. Non ricorre alla demagogia. Rifugge dal sentimentalismo. È semplicemente un uomo libero, di quella libertà di cui dispone chi è guidato dallo Spirito Santo. Ogni gesto è sentito, creduto, animato da una profonda vitalità. E da una adesione piena e totalizzante alla Buona Novella: “Il potere”, dice, “deve entrare sempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminoso sulla Croce”. Deve rifiutare l’apparenza, l’interesse, il personalismo. Deve servire i poveri, i deboli, gli esclusi. Deve superare gli impedimenti che sono di ostacolo all’evangelizzazione. Deve essere luce nella tenebra, sorriso nella sofferenza. “Va’, Francesco”, ha detto il predicatore della casa pontificia, padre Raniero Cantalamessa, in occasione della Liturgia della Passione, “ripara la mia Chiesa”. Ci pare il messaggio più semplice. Giusto. Ed entusiasmante.