San Paolo Store

Il peperoncino all'aceto

vota, segnala o condividi

Abbiamo imparato, ormai lo conosciamo. Non ci siamo abituati, però, e difficilmente lo faremo. Papa Francesco continua a stupirci. A scuoterci. A disorientarci. A smuoverci dalle posizioni comode e consolidate nella quale ci eravamo rifugiati. Ci parla in tono ironico, ci prende quasi in giro. Ma lo fa con amore, con grande sapienza. Le sue battute, se così possiamo chiamarle, non sono mai fine a se stesse. Comunicano un messaggio, un’intenzione, e riflettono uno spessore teologico e spirituale profondo e appassionato. L’ironia, in fondo, è il riso intelligente, solo chi ama e conosce ciò di cui parla può permettersi di usarla. Francesco ama e conosce la Chiesa di cui è Pastore, proprio per questo la scuote, la stimola. Alle suore riunite a Roma, ad esempio, dice: “Siate madri, non zitelle”. È una frase che stupisce, disorienta. Ma che, nella sua semplicità, esprime un pensiero forte, affascinante. Che, se non fosse chiaro, è il Papa stesso a spiegare riferendosi a una “castità feconda, che genera figli spirituali nella Chiesa.”      
Il mondo che descrive è quello famigliare, legato alla quotidianità: “Quando ero bambino", racconta, "si sentiva nelle famiglie cattoliche, anche nella mia: ‘No, a casa loro non possiamo andare, perché non sono sposati per la Chiesa, eh!’. O sono socialisti o atei…” Era una sorta di esclusione, una chiusura, “una difesa della fede con i muri”. Ma Gesù, dice, non esclude nessuno, “Gesù ha costruito ponti”. Ed è questa la grande rivoluzione del cristianesimo.
Ecco, allora, una parte significativa del suo magistero, quello che porta in una piazza San Pietro stracolma di fedeli e nella piccola cappella di Santa Marta: dire cose importanti, stra-ordinarie, con parole semplici. Con un tono quieto, divertito. Attraverso immagini genuine, fortemente riconoscibili. Per portare la fede nella vita di tutti i giorni. E renderla in qualche modo gioiosa: “A volte, alcuni cristiani malinconici hanno più la faccia da peperoncino all'aceto che di gioiosi che hanno una vita bella! (…) Che cosa è, questa gioia? È l’allegria? No, non è lo stesso. L’allegria è buona, eh, rallegrarsi è buono. Ma la gioia è di più, è un’altra cosa. E’ una cosa che non viene dai motivi congiunturali, dai motivi del momento. E' una cosa più profonda. E’ un dono. L’allegria, se noi vogliamo viverla tutti i momenti, alla fine si trasforma in leggerezza, superficialità, e anche ci porta a quello stato di mancanza di saggezza cristiana, ci fa un po’ scemi, ingenui, tutto è allegria… No, la gioia è un’altra cosa. La gioia è un dono del Signore. Ci riempie da dentro. È come una unzione dello Spirito. E questa gioia è nella sicurezza che Gesù è con noi e con il Padre”.