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Il nuovo Harry Potter

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La questione per quanto semplice è molto delicata.
A qualcuno potrebbe sembrare irrilevante, ad altri una mera operazione commerciale
Non lo è.
Si tratta di una scelta coraggiosa e per certi versi rischiosa.
Di cosa stiamo parlando?
Presto detto: da qualche mese sugli scaffali c'è il nuovo Harry Potter. In versione rilegata e in edizione economica.
“Come?”, vi chiederete, “dopo Harry Potter e i Doni della Morte non doveva essere finita? La Rowling non aveva dichiarato che si sarebbe dedicata ad altro?”
È così. In entrambi i casi.
L’epopea potteriana è giunta alla conclusione. E l’autrice inglese, una delle più influenti a livello mondiale, ha scritto Il seggio vacante e, sotto lo pseudonimo R. Gailbraith, Il richiamo del cuculo.
Allora? Dove sta la novità? In cosa consister la scelta “coraggiosa” e “rischiosa”?
Semplice, la nuova serie ha una nuova traduzione
Su due piedi verrebbe da dire: “Sai che novità…”. Si potrebbe sottovalutarne l’impatto, la portata. D’altra parte, in Italia la traduzione è spesso squalificata. È considerata un accidente, un corollario.
Non è così. 
Il traduttore non è un semplice ingranaggio, ma un protagonista della narrazione. Dalla sua competenza e sensibilità dipenda la buona riuscita e, perché no?, il successo dell'opera. Non è un caso che tra i traduttori italiani ci siano nomi prestigiosi, a loro volta autori. Si pensi all’Iliade di Vincenzo Monti, a Moby Dick di Cesare Pavese, alla Beat Generation di Fernanda Pivano e via dicendo.
La scelta delle parole non è una questione di gusto. Non solo. Ha un carattere sostanziale, che incide sullo sviluppo della narrazione e sul suo significato. Ogni termine ha il suo suono, si lega alle altre parole  secondo un certo ritmo, significa  un determinato modo...  Ok, stiamo divagando. Rimaniamo su un piano concreto, sulla nuova edizione di Harry Potter.

 

Il curatore del libro, Stefano Bartezzaghi, è stato chiaro: “La traduzione di un libro, normalmente, va dalla prima pagina all’ultima”, dice. “La traduzione della saga di Harry Potter non ha funzionato così. Non ha potuto: quando è stato tradotto il primo volume, il secondo non era stato ancora scritto e così i successivi. Soltanto al momento di affrontare il settimo, il traduttore ha conosciuto l’opera nella sua interezza”.
Nel corso della saga, la storia e i personaggi evolvono di continuo, e alcune parole usate nei primi libri alla fine risultato “fuori contesto”: “Neville Paciock era il nome giusto per il ragazzino pasticcione dell’inizio, non certo per il coraggioso eroe del settimo volume, nonché futuro professore di Erbologia… Fare questi cambiamenti mi è perciò parso come restituire al testo qualcosa che gli era dovuto”.
Ovvio, alcune scelte della prima edizione vengono mantenute, come nel caso di Albus Silente: “Al momento di scegliere il cognome italiano, che era parso adeguato per un mago bizzarro ma anche solenne e capace di tenere in soggezione i suoi nemici, non si sapeva quello che J.K. Rowling avrebbe poi dichiarato: «Lo immaginavo come un mago benevolo, sempre in movimento, che mormora continuamente tra sé e sé»; dumbledore, in inglese, è il nome arcaico di bumblebee, il calabrone. Altro che ‘Silente’! Eppure, la storia dimostrerà che proprio i silenzi di Albus hanno avuto un ruolo determinante...".
Altre, invece, vengono abbandonate, ad esempio il nome delle quattro Case di Hogwarts. Nella versione originale non è presente l’indicazione dei colori. Così, ad esempio, "Tassorosso" diventa "Tassofrasso". Oppure i “folletti” si trasformano in “goblin”.
La volontà dell'editore è proporre una traduzione più vicina all’originale, capace di rendere conto della saga nella sua interezza. Gli appassionati (soprattutto quelli più nostalgici) rumoreggiano. Ma è troppo tardi: tocca leggere. Soltanto a quel punto si potrà dire di sentirsi traditi o ancora più appassionati.