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Il Gran Rifiuto

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IN OCCASIONE DELLA FESTA LITURGIA DI SAN PIETRO CELESTINO (19 MAGGIO), RIPROPONIAMO L'APPROFONDIMENTO SUL PAPA DEL "GRAN RIFIUTO".

Il 13 dicembre 1294 i cardinali sono riuniti in concistoro, a Perugia.  Immaginiamo la scena. Celestino V, Papa da neppure sei mesi, è seduto sul trono di Pietro. I porporati gli sono attorno. Il vecchio eremita, smagrito e provato nel fisico, estrae dal manto una dichiarazione scritta. Si schiarisce la voce, alza lo sguardo. Incrocia quello di alcuni prelati. Lo riabbassa. Legge: “Io Celestino, mosso a ragioni legittime, per bisogno di umiltà, di perfezionamento morale e per obbligo di coscienza, come pure per indebolimento fisico, per difetto di dottrina e per la cattiveria del mondo, al fine di recuperare la pace e la consolazione del mio precedente modo di vivere, con tutto l’animo e liberamente, abbandono la dignità papale, i suoi impegni e i suoi onori, dando da questo istante piena e libera facoltà al Sacro Collegio dei cardinali di scegliere un nuovo Pastore per la Chiesa universale”.
I cardinali, immaginiamo anche in base a quanto abbiamo avuto modo di vedere e sentire in questi giorni, ascoltano in silenzio. Increduli. Sgomenti. Non era mai successo che un Papa pronunciasse simili parole. Celestino si alza, si sfila la tiara dal capo e il pallio dalle spalle, li appoggia per terra. Si libera di ogni insegna papale. I cardinali osservano. Sono senza parole. Celestino si allontana, si reca nella sua camera. Rindossa finalmente la tonaca, logora e grigia, della sua Congregazione. Se chiudiamo gli occhi, possiamo provare a percepirne le emozioni. La preoccupazione, forse. Più probabilmente, il sollievo.
Celestino V torna a essere Pietro.
Cosa è successo? Cosa lo ha spinto a quella decisione?
Ripercorriamo, in breve, la vicenda umana ed esistenziale di una figura che ha segnato in profondità la storia della Chiesa cattolica. E di cui, in questi giorni, si è molto parlato.

 

Prima dell’elezione al trono più importante d’Occidente, Pietro del Morrone non è uno sconosciuto. Ha fama di essere un uomo virtuoso, umile, dedito a Dio e alla Congregazione d’ispirazione benedettina da lui fondata. Pietro conosce l’ascetismo, la solitudine, la penitenza. Rifiuta l’opulenza, lo sfarzo, la vanagloria.
Le condizioni dell’istituzione ecclesiastica, intanto, sono drammatiche. Il seggio petrino è vacante da due anni. Il collegio cardinalizio è lacerato. I contrasti, a volte, sfociano nel sangue. Invece che pensare al bene della Chiesa gli alti prelati pensano al proprio, invece che pensare a Dio pensano a se stessi. Pietro appare il candidato ideale, di compromesso.
Dopo avere percorso in fila indiana un sentiero stretto e accidentato, un’ambasceria di cardinali lo raggiunge nella sua cella, a circa metà del monte Morrone, nei pressi di Sulmona. All’annuncio, il vecchio eremita reagisce stupito. È scettico, disorientato, preoccupato. Con tutta probabilità, rifiuta. I prelati sono decisi. Gli enunciano i problemi che investono la Chiesa.  Leggono una lettera di supplica: “Se ti rifiuti”, dicono, “commetti peccato mortale”.
Pietro risponde: “Chi sono io per farmi carico di un peso e di un potere così grande? Non sono in grado di salvare me stesso, come potrò salvare il mondo intero?”.
Insistono.
Il monaco accetta, lo fa per amore della Chiesa. Diventa Celestino V. È una svolta profonda, radicale. Pietro lo sa. È consapevole di quello che lo aspetta.
Il peso della Storia, però, è più greve di quello che ha immaginato. Il futuro Santo non conosce le dinamiche del potere e ne ignora i meccanismi. Non ha confidenza con il Diritto Canonico né con la politica. È sottoposto a forti pressioni. È vecchio, indebolito da una vita dedicata alla penitenza, alla preghiera e alla solitudine.
Il 28 luglio, a dorso di un asino, sull’esempio di Gesù a Gerusalemme, fa il suo ingresso a L'Aquila, sede del Sacro Collegio. Il 29 agosto 1294 diventa vicario di Cristo. Il 13 dicembre 1294 rinuncia al pontificato. Muore il 19 maggio 1296, in isolamento coatto nel castello di Fumone, per volontà del suo successore, Bonifacio VIII.
Il 5 maggio 1313 papa Clemente V lo dichiara santo.

 

Scrive Petrarca: “Io considero l’operato di Celestino come quello di uno spirito altissimo e libero che non conosceva imposizioni, di uno spirito veramente divino. Pur al culmine della sua potenza, nella sua augusta e papale dimora, pensando all’angusta stanzetta da eremita, visse umile nel potere, solo tra la folla, povero tra le ricchezze […]. Lo deridano pure, quelli che lo videro: per loro lo squallido spregiatore delle ricchezze e la santa povertà apparivano vili, di fronte al fulgore dell’oro e della porpora. A noi sia concesso di ammirare quest’uomo, di porlo fra i pochissimi, e di considerare una disgrazia il non averlo veduto, mentre il vederlo sarebbe stato per noi un gran guadagno, e avrebbe potuto fornire un esempio efficacissimo a chi affronta le difficoltà di una vita più ardua. Del resto, la fama di cui ora gode e la santità di cui è circondato il suo nome costituiscono un premio per chi lo loda e un rimprovero per chi lo disprezza".