Il cinema animato
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Al principio era solo qualche linea in movimento. Poi è arrivato Winsor McCay che, oltre a creare un fumetto meraviglioso, uno dei più belli di sempre, Little Nemo, nel 1914 realizza il primo cartone animato della storia, Gertie:
Dopo è stato il turno di Max Fleischer e dei suoi Studios, che portano sul grande schermo personaggi come Betty Boop, Koko il Clown, Popeye e Superman:
Poi è arrivato Walt Disney e, come si dice, “nulla è stato come prima”. Il suo Steamboat Willie proiettato per la prima volta il 18 novembre 1928, in cui fa la sua comparsa Mickey Mouse, è un successo strepitoso. Il primo di una lunga serie. Nel tempo, ai corti si affiancano i lungometraggi, molti dei quali addirittura candidati al premio Oscar: Biancaneve e i sette nani, Bambie, Peter Pan, Pinocchio…
La Disney diventa un riferimento mondiale e il suo “monopolio” prosegue fino a pochi anni fa, relegando l’animazione (pur realizzata in modo eccezionale) a un pubblico di bambini. Certo, ogni tanto si affiancano piccole gemme (come Fantasia) o produzioni indipendenti (si pensi a La gabbianella e il gatto di Enzo D’Alò, ispirato al celebre racconto di Luis Sepùlveda, e a Chi ha incastrato Roger Rabbit?, dove i cartoni si mescolano ai personaggi in carne e ossa), ma la direzione è quella: un cartone animato è un prodotto per i più piccoli. Un adulto che lo guarda o addirittura si appassiona ha per forza di cose “qualche rotella fuori posto”.
La svolta si ha con l’avvento di Steve Jobs e John Lasseter, della Pixar e, in particolare, di Toy Story, il
primo film interamente realizzato al computer. Certo, i puristi storcono il
naso. Il disegno al computer, in effetti, toglie qualcosa (un prodotto artigianale, qualunque
esso sia, è - quasi - sempre un prodotto di qualità), tuttavia offre
possibilità che, a essere sinceri, tolgono il fiato, e di cui si fatica a immaginare un limite. Pensiamo a A Bug's Life, Monsters & Co, Gli incredibili, Up… Anno dopo anno i movimenti dei
corpi si sono perfezionati, i chiaroscuri ammorbiditi, persino le espressioni dei visi
sono diventate più vive e reali (anche se - per fortuna - nessuna macchina sarà
mai in grado di riprodurre la pienezza di uno sguardo o la vitalità di un sorriso). La Pixar si getta a capofitto in una nuova strada, e altre
produzioni la seguono senza indugi, come la Dreamworks (quella di Shrek) e i Blue Sky
Studios (quelli de L’era glaciale), senza dimenticare la tradizione giapponese, in particolare il maestro Hayao Miyazaki, che, in realtà, meriterebbe un discorso a parte.
Insomma, negli
ultimi tempi, l’animazione si è conquistata uno spazio che solo pochi anni fa
era difficile immaginare, secondo un percorso che ricorda, in qualche modo, l'affermazione delle graphic-novel in ambito letterario. I nuovi “film animati” si rivolgono ai piccoli, ma anche ai
loro fratelli maggiori e, perché no?, ai genitori. Parlano una lingua moderna, si prestano all'ironia e a molteplici rimandi culturali. Alla meraviglia del supporto grafico accompagnano il pregio della storia. Diventano adulti, senza dimenticare i
bambini che sono stati.
È una lezione valida per tutti, cosa ne pensate?
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