San Paolo Store

Ieri. Oggi. Domani.

vota, segnala o condividi

È cominciata, e sta già terminando,  una settimana storica per la Chiesa cattolica, l’ultima di papa Benedetto XVI.
Sono giorni intensi e delicati, dedicati agli esercizi spirituali del tempo quaresimale. Chi ha modo di frequentarlo, ha parlato di un Ratzinger sereno e, al tempo stesso, attento e determinato. Gli Esercizi, ospitati nella cappella Redemptoris Mater del Palazzo Apostolico, sono predicati dal cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, e imperniati sull’intreccio tra tempo storico e disegno provvidenziale:  il nostro Dio, dice Ravasi, “è Persona che agisce, che vive nell'interno delle vicende ed è per questo che il nostro rapporto con Lui è un rapporto di fiducia, di dialogo, di contatto. Ebbene, la speranza nasce dalla convinzione che la storia non sia una nomenclatura di eventi senza senso”.
Il 23 febbraio, a conclusione degli Esercizi, incontrerà il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, con il quale, dice padre Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, c’è “un rapporto intenso, maturato col tempo”.
Domenica 24, intorno alle 12, si affaccerà dalla finestra dello studio nel Palazzo Apostolico per l’Angelus e la benedizione. Piazza San Pietro si prepara ad accogliere fedeli e pellegrini da ogni parte del mondo. E a vivere un’emozione unica, di gratitudine e commozione.
Mercoledì 27, Benedetto XVI terrà lultima udienza pubblica, sempre in San Pietro.
Giovedì 28, sarà l’ultimo giorno di pontificato. Alle 11 incontrerà il clero romano nella Sala Clementina, in Vaticano. Alle 17 assisteremo a un evento inedito e suggestivo: Joseph Ratzinger, che diventerà con tutta probabilità “vescovo emerito di Roma”, salirà su un elicottero e, insieme al segretario particolare, Georg  Gänswein, volerà a Castel Gandolfo, la residenza sui colli Albani dove è solito trascorrere le vacanze estive. È qui che si rifugerà e seguirà il Conclave, nella volontà di non interferire con il lavoro dei cardinali.
Il palazzo pontificio, immerso nel verde, è un luogo pacifico, isolato dal mondo; una sorta di “deserto evangelico”. Il mondo di Ratzinger coinciderà con le sei stanze al secondo piano dell’appartamento privato.
Cosa farà?
“Rimarrò nascosto al mondo”, ha detto. Si dedicherà allo studio, alla lettura e alla preghiera, come avrebbe voluto fare già allora, in quel 19 aprile 2005, quando fu eletto Papa.
E poi?
Una volta terminato il Conclave, tornerà in Vaticano e abiterà nel Mater ecclesiae, l’unico convento di suore nel cuore della Santa Sede, a pochi metri da piazza San Pietro e il Palazzo Apostolico. Si tratta di una piccola struttura voluta da Giovanni Paolo II e abitata dalle monache visitandine, che custodiranno l’ultimo ritiro di Joseph Ratzinger.

 

Questi ultimi giorni ci portano a riflettere sul pontificato di Benedetto XVI. Su cosa ha significato e cosa significherà. Per farlo, prima di perderci in inutili speculazioni (se ne sono sentite così tante!),  vale la pena ripercorrerne le tappe, a nostro parere, caratterizzanti:
Il 19 aprile 2005, nel secondo giorno del Conclave, Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede e decano del Collegio cardinalizio, succede a Giovanni Paolo II: è il 265esimo Papa della Chiesa di Roma.
Il 25 gennaio 2006 pubblica la prima enciclica, Deus caritas est¸ dedicata all’amore di Dio: “In un mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell'odio e della violenza, questo è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto”.
Il 28 maggio 2006 visita il campo di concentramento di Auschwitz. Dice: “Prendere la parola in questo luogo di orrore, di accumulo di crimini contro Dio e contro l'uomo che non ha confronti nella storia, è quasi impossibile – ed è particolarmente difficile e opprimente per un cristiano, per un Papa che proviene dalla Germania. In un luogo come questo vengono meno le parole, in fondo può restare soltanto uno sbigottito silenzio – un silenzio che è un interiore grido verso Dio: Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo? È in questo atteggiamento di silenzio che ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo davanti alla innumerevole schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte; questo silenzio, tuttavia, diventa poi domanda ad alta voce di perdono e di riconciliazione, un grido al Dio vivente di non permettere mai più una simile cosa”.
12 settembre 2006, all'Università di Ratisbona, in Baviera, tiene una Lectio magistralis sul rapporto tra ragione e fede. Il discorso provoca una reazione sdegnata nel mondo islamico. In realtà, non afferisce in modo diretto all’Islam, ha un carattere preminentemente teologico e, soprattutto, è un invito al dialogo e alla tolleranza: “La violenza è in contrasto con la natura di Dio e la natura dell'anima”, dice il Santo Padre. “Dio non si compiace del sangue. La fede è frutto dell'anima, non del corpo. Chi quindi vuole condurre qualcuno alla fede ha bisogno della capacità di parlare bene e di ragionare correttamente, non invece della violenza e della minaccia".
Il 30 novembre dello stesso anno, visita la Moschea blu di Istanbul e prega accanto al Gran Mufti, Mustafa Cagrici.
Il 30 novembre 2007 pubblica la seconda enciclica, Spe salvi: il cristianesimo, dice, torni alla speranza. In un mondo in cui le ideologie materialistiche e illuministe hanno fallito, si torni alle parole di Paolo nella Lettera ai Romani: “Nella speranza siamo stati salvati”. Una speranza comunitaria, cristiana, natta dalla Comunione con Cristo.
Il 19 luglio 2008 in occasione della Giornata Mondiale delle Gioventù, affronta lo scandalo dei preti pedofili. Parla di vergogna, di pulizia. Di misericordia, di fragilità. Di condivisione del dolore. Assicura l’impegno suo e di tutta la Chiesa. Dice: “Questi misfatti, che costituiscono un così grave tradimento della fiducia, devono essere condannati in modo inequivocabile. Essi hanno causato grande dolore e hanno danneggiato la testimonianza della Chiesa. Chiedo a tutti voi di assistere i vostri vescovi e di collaborare con loro per combattere questo male. Le vittime devono ricevere compassione e cura, e i responsabili di questi misfatti devono essere portati davanti alla giustizia”. È un tratto del suo pontificato: Benedetto XVI non svia la questione, non nasconde la polvere, se così si può dire, sotto il tappeto. Non cerca giustificazioni.

 

Il 12 maggio 2009 visita Gerusalemme e incontra il Gran Mufti, Muhammad Ahmad Hussein, nella Spianata delle moschee: “Qui le vie delle tre grandi religioni monoteiste mondiali si incontrano, ricordandoci quello che esse hanno in comune. Ciascuna crede in un solo Dio, creatore e regolatore di tutto. Ciascuna riconosce Abramo come proprio antenato, un uomo di fede al quale Dio ha concesso una speciale benedizione. Ciascuna ha raccolto schiere di seguaci nel corso dei secoli ed ha ispirato un ricco patrimonio spirituale, intellettuale e culturale. In un mondo tristemente lacerato da divisioni, questo sacro luogo serve da stimolo e costituisce inoltre una sfida per uomini e donne di buona volontà ad impegnarsi per superare incomprensioni e conflitti del passato e a porsi sulla via di un dialogo sincero finalizzato alla costruzione di un mondo di giustizia e di pace per le generazioni che verranno".
Il 7 luglio 2009 dà alla luce la terza enciclica, Caritas in veritate, un'enciclica molto lunga di forte carattere sociale. È una riflessione profonda, che investe l’economia e le sue finalità: "La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa. […] Essa dà vera sostanza alla relazione personale con Dio e con il prossimo”. Da qui nasce il bisogno di coniugarla con la verità, il logos, senza la quale rischia di scivolare nel sentimentalismo. “La sfera economica”, continua l’Enciclica, “non è né eticamente neutrale né di sua natura disumana e antisociale. Essa appartiene all'attività dell'uomo e, proprio perché umana, deve essere strutturata e istituzionalizzata eticamente. […] L'economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento. La regola non può essere il solo profitto.”  E l’uscita dalla crisi coinvolge l’uomo nella sua interezza, richiede “nuovi sforzi di comprensione unitaria e una nuova sintesi umanistica. […] La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità. In questa chiave, fiduciosa piuttosto che rassegnata, conviene affrontare le difficoltà del momento presente.”
Il 19 dicembre 2009 Benedetto proclama venerabile il suo predecessore, Giovanni Paolo II.
Il 25 maggio 2012 viene arrestato Paolo Gabriele, il suo maggiordomo: è l’epilogo del cosiddetto “scandalo Vatileaks”. Il 22 dicembre, con atto paterno, gli concede il perdono.
Il 14 settembre 2012 atterra in Libano e incontra le comunità musulmane: “Il fondamentalismo è sempre una falsificazione delle religioni perché Dio invita a creare pace nel mondo e compito delle fedi nel modo è creare la pace. Nell'immagine degli altri rispettiamo l'immagine di Dio”.
Il 12 dicembre 2012 Benedetto XVI sbarca su Twitter: “Cari amici”, è il primo tweet, “è con gioia che mi unisco a voi, grazie per la vostra generosa risposta, vi benedico di cuore”.
L’11 febbraio 2013 annuncia le sue “dimissioni”.

Sul significato della sua scelta ne abbiamo sentite di tutti i colori. C’è qualcuno che l’ha messa addirittura in correlazione con la pioggia di meteoriti che ha colpito la Russia… In realtà, con un gesto umile e coraggioso, Ratzinger sottrae la Chiesa alle dinamiche temporali ed, elevandola, la affida a Cristo.
A questo punto non ci resta che aspettare l’ingresso dei cardinali elettori in Conclave, nella maestosità della Cappella Sistina, la fumata bianca e il 266° Habemus Papam.