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I nuovi poveri

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È novembre, ci siamo. Come ogni anno, ci prepariamo all’emergenza freddo (come? Cosa? L’emergenza dovrebbe avere un carattere inatteso, estemporaneo e imprevedibile? È vero, ma questa è un altro discorso…).
Cosa significa?
Che i telegiornali strilleranno nei titoli di testa: “Fa molto freddo”.
Che incontrandoci per strada, tra nuvole di fumo, ci diremo: “Quest’anno si ghiaccia!”.
Che i treni dei pendolari accumuleranno ritardi. Che il consumo delle nostre caldaie aumenterà in modo esponenziale. Che qualche dottore ci ricorderà l’importanza delle arance.
Soprattutto, però, significa che le nostre strade si popoleranno di uomini e donne vestiti in modo improbabile che faranno di tutto pur di scampare ai morsi del gelo e arrivare (vivi) alla prossima emergenza.
Quest’anno, tuttavia, disponiamo di un nuovo strumento, il Rapporto sui senzacasa di Istat, Caritas, Fiopsd e ministero del Welfare.
Di cosa si tratta?
È una sorta di censimento, il primo di questo tipo, che ci permette di andare al di là del dato statistico e di raggiungere chi quel dato lo popola, chi da quel dato è rappresentato. Di dare un volto a quell’ammasso di guanti, cartoni e sacchi a pelo accanto al quale spesso passiamo senza prestare attenzione. Al quale, spesso, ci accontentiamo di lasciare qualche moneta.

 

I dati parlano chiaro, ci dicono quanti e chi sono. E che siamo di fronte a una grande trasformazione.
Il “barbone per scelta” non esiste più (sempre che sia mai esistito). Il barbone, oggi, è davvero “uno di noi”. In genere, è uomo, italiano e ha meno di sessanta anni (il 57,9% ne ha meno di quarantacinque). Ed è finito per strada per diversi motivi, perché ha perso il lavoro o perché, nonostante i titoli di studio, non lo ha mai trovato, perché ha divorziato e non è riuscito a stare dietro agli alimenti, perché è caduto nel vortice delle dipendenze o è stato piegato dalla disabilità (fisica e mentale). Al suo fianco, ovviamente, ci sono i tanti stranieri partiti alla ricerca di un sogno, in fuga dalla fame o dalla violenza, e, se possibile, caduti ancora più in basso. La maggior parte sono rumeni (11%) seguiti da marocchini (9,1%) e tunisini (5,7%), hanno un’età mediamente bassa (il 46,5% ha meno di 35 anni) e un titolo di studi elevato (il 43,1% ha un diploma di scuola media superiore e il 9,3% una laurea, contro il 23,1% degli italiani).
Tra loro c’è di tutto: avvocati, dottori, giardinieri, idraulici, carpentieri... Ciascuno ha avuto un passato e, in quel passato, ha immaginato un futuro che vede allontanarsi giorno dopo giorno. Sono chiamati barboni, invisibili, straccioni, ma, al di là dei nomi, dei vestiti logori e dei volti segnati, rimangono esseri umani. E, come dice don Tonino Bello, “hanno un grande potenziale evangelizzatore da darci”.