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I 90 anni de "Il Giornalino"

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Che il fumetto non sia solo uno “strumento di distrazione di massa” ormai è acclarato, basti pensare alla maturità e alla profondità delle opere di Will Eisner o dei nostri Sergio Toppi e Hugo Pratt.
Novant’anni fa, però, non era così scontato, anzi: il fumetto era considerato uno svago, una specie di gioco, al massimo una forma immatura di racconto (ammesso e non concesso che raccontasse qualcosa).
Ma il vulcanico Giacomo Alberione aveva visto lungo e, dopo la pubblicazione di "Vita Pastorale" (1914), l’1 ottobre 1924 diede alle stampe il primo numero de “Il Giornalino”. Una scelta sorprendente, coraggiosa,  per certi versi rivoluzionaria: ripensiamo o immaginiamo l’Italia di allora, con il fascismo che si imponeva e la retorica che strabordava. Ci mancava solo quest’uomo gracile e testardo che si proponeva di accoppiare pedagogia, fede e fumetti... Che si rivolgeva direttamente ai ragazzi, parlando il loro linguaggio e guardando il mondo con i loro occhi, trasformandoli da termine e oggetto della proposta educativa ad agenti attivi e co-protagonisti!

 

Come sempre, il Beato aveva tenuto duro ed era andato avanti con la pubblicazione, che, tra rinnovamenti grafici e di contenuti, è arrivata ai giorni nostri, rendendo il Giornalino la rivista più longeva d’Europa.
Il segreto?
Di sicuro, come detto, la capacità di parlare, anzi dialogare con i più giovani, stimolandone fantasia e curiosità. Di “educare divertendo”, offrendo valori e spunti di riflessione. Di presidiare uno spazio altrimenti occupato dalla televisione, dagli smartphone e via dicendo. Di avere intuito – e qui torniamo al punto di partenza – che il fumetto non è una sequenza di disegnini con nuvolette e qualche spunto comico, ma uno strumento per raccontare una storia, proprio come la parola scritta o recitata. E che sta all’autore scegliere cosa e come farlo, assumendo su di sé una grande responsabilità.