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Fabrizio De André

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In direzione ostinata e contraria

"Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria,
col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità

Ricorda Signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti.
Come una svista, come un'anomalia, come una distrazione, come un dovere."

Fabrizio De Andrè, Smisurata preghiera (dall'album Anime Salve 1996) 


Fabrizio De André


Fabrizio De André ha consegnato alla nostra memoria canzoni nelle quali si muovono personaggi indimenticabili.
Le canzoni di De Andrè denunciano l’urgenza della solidarietà tra uomini, nel senso di una pietas che è fratellanza necessaria e profonda.

 
Il pescatore e gli altri

Tra i personaggi che popolano le canzoni di De Andrè non ci sono vincitori ma solo vinti. Vinti gli emarginati, i folli, gli irrequieti. Vinti anche coloro che si trincerano nell’odio, nel perbenismo, nell’ipocrisia di chi “sa vivere” e non ha pietà. Non si offrono né si cercano soluzioni, l’invito per tutti è alla compassione.
In Via del campo, in Bocca di Rosa o nella Canzone di Marinella il mondo delle prostitute non emerge solo come argomento di polemica sociale, ma è momento poetico dell’individualità di donne a cui sono restituite infanzia, bellezza e innocenza.
In Khorakhanè tra gli zingari di un accampamento Rom, le lacrime si confondono ai fuochi di festa nel fiabesco mondo della provvisorietà: allo specchio della miseria più incerti si fanno i confini tra il bene e il male e più importante del divieto di rubare è l’uomo e la sua fame.
Nel Pescatore, dinanzi agli “occhi enormi di paura”di un assassino, un semplice pescatore non esita a spezzare il pane e a versare il vino, gesti evocativi di un amore più grande, per saziare la fame di compassione di un assassino in fuga.
Nel Cantico dei drogati una struggente ammissione di fragilità e paura ci introduce nell’universo pervaso dal sogno allucinato e inquietante di una ricerca che pulsa nel vuoto. Finché il dolore non diventa disperazione e ad intercedere per chi ne è vinto fino a morirne è la splendida canzone Preghiera in gennaio, un appello accorato al Dio di misericordia perché estingua nel suo abbraccio i singhiozzi di chi “all’odio e all’ignoranza ha preferito la morte”. 

La Buona Novella


De Andrè si è sempre professato ateo e non c’è desiderio di redenzione e nessun prospettiva trascendentale nel grido d’amore che pervade le sue canzoni.
La Buona Novella è un concept album interamente incentrato sulla storia terrena di Gesù e il cantautore si allontana più del solito da una visione mistica ed escatologica dell’esistenza. Ai personaggi che attraversano la storia di Gesù sono ridate sembianze umane e tratti psicologici; Cristo è descritto con disarmante umanità in contrapposizione alla qualità della divinità assunta come estranea e impietosa. Un uomo-dio che ridà dignità a donne e beoni, che cammina sulla terra e che piange. L’album si conclude con Laudate Hominem, manifesto spregiudicato del pensiero del cantautore, ostinato a non alzare lo sguardo, troppo assorto a scandagliare gli abissi dell’animo umano.
Le note di ballate nostalgiche, i versi dal sapore popolare, il senso acuto di parole iconiche aprono la strada a un pensiero che sembra imporsi tra le immagini: una solidarietà più che umana si svela ai piedi della croce (Il Testamento di Tito) e “nella pietà che non cede al rancore” un barlume di senso approda all’esistenza, mettendo a nudo la bellezza irriducibile di un’umanità riscattata dall’amore.