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Etty Hillesum

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Esther Hillesum nasce il 15 gennaio 1914 a Middelburg, in Olanda, da una famiglia della borghesia ebraica. Dopo essersi spostata in diverse città al seguito di papà Levi, insegnante di lettere classiche, nei primi anni Trenta si stabilisce ad Amsterdam, dove si laurea in Giurisprudenza (1932), si iscrive alla facoltà di Lingue Slave e si interessa alla psicologia junghiana.
L’arrivo della guerra, però, mette in discussione ogni cosa. Tranne la sua vivacità intellettuale: Etty, come la chiamano, è attenta e curiosa, legge i classici ma anche Rilke e Dostoevskij, è ebrea ma non praticante, rispetta la religione ma non la frequenta. Fino a quando è la religione stessa, nella sua distorsione storico-ideologica, a imporsi. Nel 1940 la propaganda antisemita si fa sempre più capillare. E concreta. Gli  ebrei sono emarginati, cadono vittime di divieti assurdi e obblighi insensati, come quello di indossare la stella di David.
Nel 1942 Etty lavora come dattilografa per il Consiglio Ebraico, una sorta di governo del ghetto, formato in genere dagli anziani, che si propone di mediare tra la popolazione e gli occupanti nazisti. Presto, però, la persecuzione travolge ogni istituzione e anche gli impiegati del Consiglio perdono la protezione e, come gli altri ebrei, finiscono a rischio deportazione
Cosa che succede. 
Etty, mamma Rebecca, papà Levi e uno dei due fratelli, Mischa, sono internati nel “campo di transito” di Westerbork. Il 7 settembre 1943 sono deportati ad Auschwitz, dove muoiono poco tempo dopo. 
Prima della deportazione, la Hillesum tiene un diario. Un resoconto minuto e dettagliato dei suoi ultimi anni di vita. Il racconto di un mutamento, di una crescita. Con il passare dei giorni, e il peggiorare della condizione, sua e di chi le sta vicino, la giovane intellettuale senza punti fermi ma, al contrario, aperta e quasi provocatrice, lascia spazio a una donna che smette di pensarsi come atomo e avverte su di sé il destino di un popolo intero, che è costretta a prendere atto e confrontarsi con il male, che studia il Vangelo e Agostino e, soprattutto, si apre a Dio, “padre nonostante tutto”. E che , nonostante tutto, continua a nutrire un grande amore per la vita: "Le poche cose grandi che contano devono essere tenute d'occhio, il resto si può tranquillamente lasciar cadere. E quelle poche cose grandi si trovano dappertutto, dobbiamo riscoprirle ogni volta in noi stessi per poterci rinnovare alla loro sorgente. E malgrado tutto si approda sempre alla stessa conclusione: la vita è pur buona".