Esaltazione della Croce
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Nos autem gloriari oportet in cruce
Domini nostri Iesu Christi, in quo est salus,
vita, et resurrectio nostra,
per quem salvati et liberati sumus.
Cfr. Gal. 6, 14.
L’antifona d’ingresso della festa dell’Esaltazione della Croce recita: “Di null'altro mai ci glorieremo
se non della Croce di Gesù Cristo, nostro Signore:
egli è la nostra salvezza, vita e risurrezione;
per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati.” Parlare della Croce ai giorni nostri, in un’epoca in cui il sacrificio non è contemplato o, all’opposto, imposto da una crisi senza precedenti, può essere una provocazione; figurarsi gloriarsene!
Segno di unione cosmica per eccellenza, la Croce è, invece, il simbolo della nostra salvezza. È, come ci fa cantare l’inno dell’Adorazione della Croce il venerdì santo, "il più nobile tra tutti gli alberi che nessuna foresta produce simile per fiore, fronda e frutto." Ma, ai giorni nostri, è difficile credere alla sua singolarità e grandezza: "la croce della nostra quotidianità", "la croce della nostra miseria", "le croci della nostra vita"… la parola,“croce”, fa irruzione nella nostra esistenza e subisce la corruzione del suo significato originario: simbolo di morte e mortificazione anziché vessillo di vittoria sul male e sulla morte.
“Liberami Signore da questa croce!” è l’esclamazione dell’anima giunta al limite della sopportazione, di un’esistenza “crocifissa” al muro dei propri limiti e delle proprie angustie. Anche Cristo nel Getsemani chiede al Padre di liberarlo, ma rimane obbediente/crocifisso alla volontà del Padre (cfr. Mt. 26, 39). Era necessario tutto ciò? L’inno composto nel sesto secolo da Venanzio Fortunato risponde anche a questa domanda: “Quest’opera della nostra salvezza l’ordine divino aveva richiesto; perché il piano (di Dio) facesse fallire il piano del multiforme Traditore e recasse guarigione di là, da dove l’Avversario aveva provocato la ferita”; così il vangelo di Giovanni: “Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.” (Gv. 3, 14).
Il passaggio dalla corruzione linguistica della croce alla Croce della salvezza è segnato dal cambiamento di prospettiva, dalla conversione (metanoia) di chiunque recuperi il senso originario della Croce di Cristo. Fu certamente profetico Sergio Quinzio quando nel 1984 scrisse il suo libro dal titolo eloquentissimo, La croce e il nulla e denunciò la grande minaccia del nichilismo come alternativa alla Croce di Cristo. A tal proposito, per superare la minaccia del baratro nichilista, sembra interessante concludere con un pensiero di Edith Stein: “Il mondo è in fiamme: desideri spegnerle? Contempla la Croce: dal Cuore aperto sgorga il sangue del Redentore, sangue capace di spegnere anche le fiamme dell'inferno”. Quelle fiamme che infuocano la nostra quotidianità e ci impediscono di vedere la luce che l’esperienza della Croce ha portato nelle nostre tenebre.
Danilo Mauro Castiglione
Oblato Benedettino Secolare
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