Concilio Vaticano II
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Il 25 gennaio 1959, a soli tre mesi dalla sua elezione al soglio pontificio, papa Giovanni XXIII indice il Concilio Ecumenico Vaticano II al fine di discutere le questioni che coinvolgono la Chiesa (la sua natura, la sua identità, il suo rapporto con il “mondo delle cose”).
La Commissione Antipreparatoria, presieduta dal cardinal Tardini, consulta il mondo cattolico e le diverse voci (i vescovi, le congregazioni, le facoltà teologiche) per definire le tematiche da affrontare. La Commissione Preparatoria, presieduta dal Santo Padre, le formalizza. L’11 ottobre, nella basilica di San Pietro, ha ufficialmente inizio il Concilio Vaticano II, il ventunesimo della storia. Il discorso solenne pronunciato da Giovanni XXIII, Gaudet Mater Ecclesia, ne indica la struttura, la direzione e il senso: “Iniziando questo Concilio universale, il Vicario di Cristo, che vi sta parlando, guarda, com’è naturale, al passato, e quasi ne percepisce la voce incitante e incoraggiante […]. Se questo è motivo di letizia spirituale […] molti dolori e amarezze hanno oscurato questa storia […]. Dopo quasi venti secoli, le situazioni e i problemi gravissimi che l’umanità deve affrontare non mutano; infatti Cristo occupa sempre il posto centrale della storia e della vita: gli uomini o aderiscono a lui e alla sua Chiesa […] oppure vivono senza di lui o combattono contro di lui e restano deliberatamente fuori della Chiesa, e per questo tra loro c’è confusione, le mutue relazioni diventano difficili, incombe il pericolo di guerre sanguinose”.
Nei tre anni di preparazione, dice il Santo Padre, si è indagato “quale fosse in questa nostra epoca la condizione della Fede, della pratica religiosa, dell’incidenza della comunità cristiana e soprattutto cattolica […]. Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori [… ]. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.” Lo stato presente delle cose e dei fatti umani, ciò che accade insomma, non è che l’esplicitazione, il farsi storia dei misteriosi piani della Divina Provvidenza.
“Quel che più di tutto interessa il Concilio è che il sacro deposito della dottrina cristiana sia custodito e insegnato in forma più efficace. Tale dottrina […] comanda di tendere come pellegrini alla patria celeste. Ciò mostra in qual modo si deve ordinare questa vita mortale, affinché, adempiendo i nostri doveri, ai quali siamo tenuti verso la Città terrena e quella celeste, possiamo raggiungere il fine a noi prestabilito da Dio”. Dio, il regno celeste, è il senso della nostra esistenza, l’alto al quale tendere. I beni temporali sono “strumenti”, appigli ai quali ancorarsi per proseguire l’ascesa: “In realtà, nella Chiesa ci furono sempre e ci sono coloro, che, pur dedicandosi con tutte le forze alla pratica della perfezione evangelica, danno contemporaneamente il loro contributo al progresso civile”, con l’esempio e le loro attività benefiche incrementano ciò che di nobile c’è nella società umana.
“La Chiesa non è rimasta indifferente a quelle meravigliose scoperte dell’umano ingegno ed a quel progresso delle idee di cui oggi godiamo, né è stata incapace di onestamente apprezzarle; ma, seguendo con vigile cura questi fatti, non cessa di ammonire gli uomini perché, al di sopra dell’attrattiva delle realtà visibili, volgano gli occhi a Dio, fonte di ogni sapienza e di ogni bellezza, affinché essi, ai quali è stato detto: 'Soggiogate la terra e dominatela' (Gen 1, 28), non dimentichino quel rigorosissimo comando: 'Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto' (Mt 4, 10), perché il fascino fuggente delle cose non impedisca il vero progresso”.
“Il ventunesimo Concilio Ecumenico […] vuole trasmettere integra, non sminuita, non distorta, la dottrina cattolica, che, seppure tra difficoltà e controversie, è divenuta patrimonio comune degli uomini”. Ma non dobbiamo fermarci, dice, non dobbiamo solo conservare. Dobbiamo proseguire il cammino della Chiesa. Bisogna “che in questi nostri tempi l’intero insegnamento cristiano sia sottoposto da tutti a nuovo esame, con animo sereno e pacato […] occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi.” La verità del Signore rimane eterna, le opinioni degli uomini non possono nulla al suo confronto, sono fallaci, soggettive, relative: “La Chiesa Cattolica, mentre con questo Concilio Ecumenico innalza la fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati”. Tende la mano, prospetta una felicità non qui e ora, “ma dispensa i beni della grazia soprannaturale, i quali, elevando gli uomini alla dignità di figli di Dio, sono di così valida difesa ed aiuto a rendere più umana la loro vita […] Questo si propone il Concilio Ecumenico Vaticano II, il quale, mentre raccoglie insieme le migliori energie della Chiesa […] quasi prepara e consolida la via per realizzare quell’unità del genere umano, che è come il necessario fondamento, perché la Città terrena si organizzi a somiglianza della Città celeste […].”
Il Sinodo, che si svolge in quattro sessioni, dal 1962 al 1965, sotto i pontificati di Giovanni XXIII e del suo successore. Paolo VI, e coinvolge circa duemilacinquecento cardinali e vescovi di tutto il mondo, ha una natura teologica e, soprattutto, pastorale: la Chiesa non si arrocca, non si ritira, ma si apre e parla al mondo. La pastorale, vale la pena ricordarlo, non ha un valore esclusivamente pratico, distinto dalla dottrina: il Vangelo è la condizione e il fondamento dei ogni agire, è ciò che dà senso e significato: “Soltanto quando avremo raggiunto la verità che scaturisce dall’evangelo e che deve tradursi nella pratica della vita”, dice il Papa buono nella enciclica Ad Petri Cathdram, “allora soltanto il nostro animo potrà godere il tranquillo possesso della pace e della gioia”.
Il Concilio promulga nove decreti, tre dichiarazioni e quattro costituzioni. Nel Dei Verbum sottolinea la centralità della Sacra Scrittura, la Parola di Dio, nella vita ecclesiastica e in quella dei fedeli. Nel Lumen Gentium compie una riflessione sulla Chiesa, la sua organizzazione e il rapporto (essenziale, vitale) con il “popolo di Dio”. La costituzione Sacrosanctum Concilium riguarda la liturgia e le celebrazioni, con l’importante riconoscimento delle lingue “volgari”. La Gaudium et spes, infine, pone l’attenzione sul rapporto con la realtà mondana.
Negli ultimi anni il mondo è cambiato in modo radicale dal punto di
vista sociale, politico e culturale. Sono maturate nuove istanze e nuove
domande. Ora come allora è necessaria una risposta cristiana: "Abbiamo fatto tutto quello che ci ha detto lo Spirito Santo nel Concilio?", si chiede papa Francesco. "In quella continuità della crescita della Chiesa che è stato il Concilio?"
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