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Carnevale

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La festività del Carnevale ha origini lontane, che risalgono all’antichità greca e romana. Nel corso dei grandi banchetti che si tenevano nelle corti e nelle grandi ville patrizie, i padroni e i servi si mescolavano celando le rispettive identità dietro alle maschere. Era un modo per sfuggire ai condizionamenti e agli obblighi sociali. Una fuga, una liberazione.
Con la diffusione del cristianesimo, gli eccessi vengono mitigati, vincolati a una scansione temporale definita, che precede l’astinenza e il digiuno quaresimale; in qualche modo, sono “disinnescati", posti al confine di un percorso di autentica purificazione.
Dopo le raffinatezze di quello rinascimentale e le magnificenze di quello barocco, il carnevale ha perso la sua portata incendiaria ed è diventato una festa come tante, fra le tante. Una festa banale, puro intrattenimento (che ricorda le “chiacchiere” di cui parla spesso papa Francesco). Pensiamo ai costumi: fino a poco tempo fa erano creazioni artigianali, intessuti dall’amore di una madre che magari aveva passato la notte a cucirli. Ora sono pronti, prefabbricati, usa-e-getta: trucchi, abiti, parrucche… non c’è originalità, non c’è meraviglia. 
Ciò che resta uguale è il velo di malinconia che compare la sera negli occhi dei più piccoli (“è finita? di già?”), e la lucentezza che ritorna la mattina dopo. Perché i bambini hanno questo da insegnare, che bisogna ridere e meravigliarsi per le piccole cose. Che carnevale può essere ogni giorno.