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Beato Giacomo Alberione

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Quinto e penultimo figlio di fittavoli nelle campagne piemontesi, fa le scuole elementari e la prima ginnasio a Cherasco, ed entra poi dodicenne nel seminario di Bra (provincia di Cuneo e diocesi di Torino). Lo diceva già da scolaretto: “Mi farò prete”. A sedici anni lascia il seminario di Bra e pochi mesi dopo entra in quello vescovile di Alba, dove il 26 giugno 1907 verrà ordinato sacerdote. Ma un’altra data orienta già da tempo la sua vita. Nella “notte tra due secoli” (31 dicembre 1900 – 1° gennaio 1901) egli partecipa a una veglia di preghiera nel duomo di Alba, e in quelle ore avverte dentro di sé una spinta fortissima a “servire la Chiesa e gli uomini del suo secolo e operare con altri”, come spiegherà mezzo secolo dopo. Non sa ancora in concreto che cosa dovrebbe fare, né con quali “altri”. Ma subito ci si dedica per la vita con tutta la sua volontà: studia in seminario, e al tempo stesso si impone un pesante programma di studi “in più”: storia mondiale, storia dell’arte, della letteratura, della guerra, della navigazione, del diritto. Vuole essere preparato a tutto. Studia anche nelle vacanze, portando le mucche al pascolo. In seminario riceve incarichi “da prete” prima ancora di esserlo. Dopo l’ordinazione, poi, il suo vescovo Giuseppe Francesco Re gli affida compiti, in diocesi e fuori, che lo mettono in contatto con quanto di più vivo si agita nel mondo cattolico del tempo. Scopre le necessità nuove e urgenti della Chiesa e l’insufficienza drammatica di tante buone volontà. Certo, non è il solo a capire che bisogna buttarsi a predicare anche con la stampa, con i giornali. Alcuni già lo fanno, con impegno meritorio ma occasionale, fra attività diverse. Lui arriva presto a ben altra conclusione: predicare con la stampa significa radunare persone disposte a impegnare “tutta la vita” unicamente in questo campo: nuovi preti e nuovi fratelli laici. Quell’"operare con altri” del gennaio 1901, adesso si spiega. Giacomo Alberione darà vita a una novità mai vista nella Chiesa: uomini e donne che prenderanno i voti per dedicarsi alla comunicazione religiosa, con i metodi e gli strumenti che il tempo richiede. E questo è un fatto così nuovo e impensato (inammissibile, si sentirà anche mormorare) che Alberione deve occuparsene da clandestino, essendo anche direttore spirituale del seminario. (Tiene al corrente il suo vescovo e l’antico superiore di seminario, il canonico Francesco Chiesa, consigliere provvidenziale). Così i paolini, futuri editori nel mondo, nascono zitti zitti a Alba col nome di “Scuola tipografica Piccolo Operaio”. E più tardi le Figlie di San Paolo, prime suore che si siano viste in Italia al volante di auto e camioncini, partono da stanzette con l’insegna “Scuola di taglio e cucito”.

 

E tutto questo accade nel momento più sconsigliabile: è scoppiata la prima guerra mondiale, e vari discepoli di Alberione andranno al fronte. (Lui non viene arruolato per l’esiguità del fisico). L’8 dicembre 1917 i primi giovani che si sono uniti a lui emettono i primi voti, privati, come religiosi. Sono ragazzi che lui conosce per nome e per famiglia, figli di una terra che all’epoca davvero non regala nulla: lui li ha conquistati con quel sogno senza confini: portare Cristo nel mondo “con ogni mezzo più rapido ed efficace”. Porteranno gli impianti tipografici e poi la radio, la televisione, in tutti i continenti della Terra; e in ogni luogo accoglieranno altri giovani, innamorati della stessa avventura. Nella diocesi di Alba, tuttavia, con i tanti ragazzi che “vanno da don Alberione”, si arriva anche a dolorose asprezze nel clero, dove c’è chi si sente “derubato” di risorse umane. Eppure la vita con lui offre generalmente una sola “ricreazione”: quella che consiste nel cambiare lavoro; nell’imparare in due ore ciò che ad  altri ne richiede quattro. Molti figli di questa terra non sono certo nuovi a certe severità della vita, e accettano gli zaini dei quali lui li carica, perché li ha conquistati con quel sogno senza confini. Il sogno comincia a realizzarsi con gli anni Trenta. La società San Paolo ha ricevuto le prime approvazioni, per volontà assai decisa di Pio XI, il papa della radio e delle missioni. I suoi ragazzi partono per l’Europa e per le Americhe, per l’Asia, l’Africa, l’Australia. E con essi partono le Figlie di San Paolo, con pochissimo denaro, un po’ di libretti da vendere, e l’incertezza di come saranno accolte all’arrivo, anche da ambienti cattolici. Sul finire del 1931, con la crisi americana che devasta anche l’economia europea, Alberione lancia i suoi in un’altra avventura: in Italia, con epicentro ad Alba. Alla vigilia di Natale, con l’aiuto delle Figlie di San Paolo, fa uscire in diciottomila copie il primo numero di “Famiglia Cristiana”, di sole dodici pagine, che presto diventeranno diciotto. Ha indicato lui i contenuti: deve essere il giornale di tutta la famiglia, per ogni generazione di casa. Nelle poche pagine c’è già in piccolo l’informazione italiana e internazionale, ci sono la formazione evangelica e quella liturgica, e le rubriche pratiche di diritto, di cucina, di moda, di medicina.

 

In ordine di tempo, “Famiglia Cristiana” segue tra i periodici paolini il mensile “Vita Pastorale” per i parroci, che esce dal 1912, e “Il Giornalino” per i ragazzi, nato nel 1924. Tutti e tre nel XXI secolo sono vivacemente in testa al gruppo di sedici periodici ai quali Giacomo Alberione ha dato vita e ispirazione in Italia. “Famiglia Cristiana” nasce, come le altre realtà paoline, senza pianificazione né ricerche di mercato, ma perché Giacomo Alberione sente che “deve” nascere in quel tempo, crisi o non crisi. Ormai la gente non si può sempre convocare all’ascolto sotto i pulpiti: e allora dev’essere raggiunta anche in casa dalla proposta cristiana, offerta insieme al servizio dell’informazione puntuale e serena. Vuole un giornalismo cristiano “chiarozzo chiarozzo” al modo di Bernardino da Siena, ma sa benissimo che chi va per questa strada può incappare in pericolosi temporali, anche “domestici” e inaspettati. E tuttavia manda ugualmente avanti i suoi paolini giornalisti. Senza ombrello. “Cerchiamo”, dice, “di passare tra goccia e goccia”. Per questa via difficile “Famiglia Cristiana” realizza negli anni un successo editoriale unico, ormai conosciuto e studiato anche per la sua costanza nel tempo. Ha mandato ormai tanti uomini e donne fuori d’Italia. E poi verrà il turno suo, quando andrà a trovarli nel mondo, a celebrare la messa nelle loro chiese tutte nuove, a visitare tipografie, redazioni, librerie nelle metropoli, accolto col titolo di "Primo Maestro" che resterà per sempre il suo. I ritmi di vita per lui non cambiano. Quattro ore di preghiera al giorno e poi lavoro, sempre. Come dirà di lui Paolo VI: “Eccolo: umile, silenzioso, instancabile, sempre raccolto nei suoi pensieri, che corrono dalla preghiera all’opera… sempre intento a scrutare i “segni dei tempi”, cioé le più geniali forme per arrivare alle anime”. Fa in tempo a partecipare al concilio ecumenico Vaticano II. E a sentire raccomandare con insistenza ai fedeli la lettura della Bibbia. Ma ben prima di queste raccomandazioni, i suoi Paolini e le Figlie di San Paolo (primi anni Sessanta) hanno venduto un milione e duecentoottomila “Bibbie da mille lire”, inventate da lui e stampate da loro. Seduto in tenace silenzio al suo posto nell’aula conciliare, sente poi proclamare altamente la necessità che la Chiesa parli ai fedeli di oggi – e anche agli infedeli – con i mezzi di oggi. E lui pensa alle suore Paoline, che in certe immensità dell’America Latina insegnano già da prima il catechismo, con i dischi prodotti da loro, diffusi dalle loro stazioni radio. Smette di pregare e di lavorare quando smette di vivere, nell’umiltà di una stanzetta che commuove papa Montini accorso per l’ultima benedizione. Giovanni Paolo II lo proclama beato a Roma il 27 aprile 2003.