Santi Cirillo e Metodio, patr. Europa
Il IX secolo fu un periodo cruciale nella storia europea. L’autorità del Sacro Romano Impero, diviso ormai in tre regni, era in declino, e mentre gli “uomini del Nord” mettevano a soqquadro coste e entroterra dei paesi rivieraschi del Nordeuropa, nell’area mediterranea gli arabi passavano di conquista in conquista, estendendo il loro dominio dal Golfo Persico all’Atlantico. L’Impero bizantino viveva un periodo di grande sviluppo e potere: contendeva ai saraceni il dominio del Mediterraneo centrale e orientale e sembrava poter riprendere la grande politica di espansione fissata da Giustiniano nel VI secolo. Ai suoi confini si muoveva rapidamente il mondo slavo. Se, a nord di Costantinopoli, l’Impero bulgaro esercitava una formidabile forza di attrazione sulle tribù slave balcaniche, più a nord grandeggiava il nuovo e ben organizzato principato della Grande Moravia. L’Impero romano d’Oriente doveva ora trattare con diplomazia e attenzione questi potenti vicini e porsi l’obiettivo di portarli rapidamente sotto l’influenza culturale, economica e politica di Costantinopoli. L’ascesa delle tribù slave, un tempo rozzi predoni e allevatori, poi disprezzati contadini dell’Europa centrale, ora potenze emergenti, capaci di influenzare i destini del continente, era legata al loro ingresso nell’Ecclesia, e la Chiesa romana e quella bizantina se ne contendevano l’evangelizzazione. La contiguità geografica, l’abilità politica e le convenienze economiche favorirono l’influenza di Bisanzio. Ma per far penetrare la fede cristiana nel mondo slavo occorreva creare una scrittura unitaria per diffondere il Vangelo. Questo compito fu assolto da due fratelli greci di Tessalonica (oggi Salonicco): Costantino-Cirillo e Metodio. I due giovani, figli di un alto ufficiale dell’armata imperiale, erano nati e vissuti nella metropoli che più aveva conosciuto da vicino le tribù slave, resistendo per secoli alla loro pressione. A partire dalla metà del IX secolo gli slavi furono gradualmente assorbiti nel mosaico etnico dell’Impero bizantino, e la loro lenta conversione al Cristianesimo andò di pari passo; già nell’864 alcune tribù avevano un vescovo. L’imperatore Basilio I il Macedone (867-887) li pacificò definitivamente, persuadendoli a sottoporsi all’autorità bizantina.
Tessalonica era il maggiore centro di scambio commerciale e culturale
fra greci e slavi, e molti suoi cittadini, specialmente i mercanti,
parlavano la lingua slava. La famiglia di Costantino e Metodio era con
ogni probabilità di rango patrizio e occupava un posto di riguardo nella vita cittadina. I
due giovani, dopo anni di vita spensierata, intrapresero separatamente
le loro carriere: Metodio, il più anziano, nell’amministrazione, dove,
con rapido successo, raggiunse i più alti gradi; Costantino negli studi
filosofici che, all’età di quindici anni, fu invitato a proseguire a
Costantinopoli. Gli agiografi dei due futuri santi asseriscono che
entrambi erano segnalati all’imperatore e che furono subito cooptati nei
gradi più alti dell’amministrazione. Costantino, versatissimo in
filosofia e scienze, assimilò velocemente tutto quanto le celebri scuole
della capitale avevano da offrire, e non era poco in quel periodo,
quando, finite le lotte iconoclaste, la vita intellettuale della Seconda
Roma era dominata da studiosi eminenti. Ben presto le sue straordinarie
doti intellettuali e morali gli conquistarono l’affetto e la stima del
potente Teoctisto, grande logoteta (una specie di superministro)
dell’Impero, che volle destinarlo alle più alte cariche. Tuttavia l’alta
posizione non soddisfece le aspirazioni di Costantino, che dette le
dimissioni dalle sue cariche per ritirarsi in un monastero sul Bosforo.
Ma Teoctisto non demordeva, e quasi impose al giovane una cattedra
“personale” di filosofia, prima ancora che venisse fondata la Magnaura,
la nuova “università” di Costantinopoli. All’età di soli ventiquattro
anni Costantino – o Cirillo (nome che assunse solo in punto di morte, ma
con cui è universalmente conosciuto) – fece il suo singolare ingresso
nel mondo missionario. Intorno all’anno 850 Cirillo fu inviato, in veste
di teologo, filosofo e diplomatico, presso il califfato abbaside, che
viveva allora anni di grande splendore, e stupì i suoi dotti
interlocutori arabi con la sua sapienza. Al ritorno dalla missione
araba, si ritirò in un luogo di ascesi sul Monte Olimpo di Bitinia, in
Asia Minore, celebre centro monastico del tempo, per osservare una vita
di povertà e di preghiera. Qui rincontrò il fratello Metodio che, mosso
da sentimenti analoghi, aveva anche lui abbandonato le alte cariche
amministrative. Forse erano stati i sommovimenti politici che segnarono
quel periodo nella capitale a indurre i fratelli ad allontanarsi dal
potere, ma probabilmente intervennero anche scelte più intime. Metodio
si fece monaco, mentre Cirillo seguiva una vita monacale senza prendere
l’abito. Nell’860 il khan dei cazari sollecitò all’imperatore Michele
l’invio di un dotto missionario. Il suo popolo seguiva un’antica
religione pagana, ma sia gli ebrei, che costituivano una classe
dominante nel paese, sia i vicini musulmani premevano perché i cazari
adottassero la loro religione. Se l’inviato bizantino fosse riuscito a
confutare le tesi degli uni e degli altri, il khan prometteva che il suo
popolo avrebbe abbracciato la religione cristiana.
Era un’occasione da
non perdere: i cazari, amici dell’Impero, stanziati a nord del Mar
Caspio, formavano un baluardo contro il comune nemico, gli slavi
orientali capeggiati dai variaghi, i predoni-mercanti svedesi che
scendevano a sud risalendo i grandi fiumi della terra dei rus
(Russia). Il governo imperiale si affrettò a inviare una missione
guidata da Cirillo, con suo fratello Metodio come assistente. Ecco ora i
due fratelli in un lungo e rischioso viaggio fino a Derbent, residenza
estiva del khan dei cazari sulle rive del Mar Caspio. All’andata e al
ritorno passarono per Cherson nella penisola Taurica (Crimea), dove
Cirillo scoprì le reliquie di san Clemente papa che portò a
Costantinopoli. Poco dopo la missione presso i cazari, giunge a
Costantinopoli un’analoga richiesta da parte del principato della Grande
Moravia, nell’Europa centrale. Il principe Ratislav sollecita l’invio
disanti cirillo e un vescovo bizantino che ammaestri il suo popolo
nella vera fede cristiana, nella sua lingua: “da voi infatti proviene
sempre per ogni paese la buona legge”. Di nuovo Cirillo e Metodio si
mettono in viaggio. La Moravia, terra di frontiera della cristianità,
baluardo contro le pericolose ambizioni territoriali tedesche e contro
le scorrerie di normanni, rus e ungari, deve essere conquistata alla
sfera d’influenza di Bisanzio. L’opera di Cirillo e di Metodio, insieme
ecumenica, culturale e politica, costituisce uno degli eventi
fondamentali del loro secolo e di tutto il Medioevo. Le missioni di
Cirillo e Metodio vanno inquadrate in un ampio disegno della
cancelleria imperiale volto a cristianizzare tutti i popoli slavi
potenzialmente nemici per condurli sotto l’influenza religiosa,
culturale, commerciale, politica e militare di Bisanzio. Per realizzare
questo colossale progetto occorreva fornire i testi sacri, tradotti in
lingua slava, a ogni clero e a ogni cancelleria dei nuovi stati che
andavano formandosi dai Balcani, all’Europa centrorientale, alle steppe
della Russia, per dare un’interpretazione univoca delle Scritture, e
sicuri ammaestramenti nella vera fede secondo i canoni ufficiali del
patriarcato di Costantinopoli, e per vincere i “concorrenti latini”: il
patriarcato di Aquileia, e gli arcivescovadi della Baviera e di
Salisburgo, sottoposti a Roma. Cirillo e Metodio, professori di
filosofia, linguisti, diplomatici e missionari, erano a capo di
quest’opera, e si può ritenere che nel loro ritiro sul Monte Olimpo,
popolato di monasteri slavi, abbiano organizzato un vasto gruppo di
traduttori e scribi che, avvalendosi di un alfabeto rudimentale di loro
invenzione, approntassero manoscritti dei testi essenziali. Quando
giunse l’ora della grande missione in Moravia, i due fratelli
disponevano probabilmente di una rete di corrieri imperiali per
rifornire gli avamposti della missione di nuove copie e nuovi testi
tradotti. Cirillo, certamente uno dei più dotati linguisti di ogni
tempo, si adoperò per ampliare e affinare la primitiva scrittura e per
organizzarne l’apprendimento nel nuovo clero slavo. Già al tempo della
missione in Cazaria, aveva forse portato con sé il Vangelo e il Salterio
in una prima traduzione slava, scritta con un alfabeto approssimativo,
per la gente di lingua rus che sapeva di poter incontrare. Ora elaborò
un vero alfabeto capace di rappresentare le sfumature fonetiche delle
lingue slave. Questo alfabeto, detto “glagolitico” (dallo slavo “parola”
o “discorso”), è una creazione assai originale, che non mostra
derivazioni da altri alfabeti. È stato dimostrato che Cirillo ricavò le
sue lettere da simboli crittografici usati dai bizantini in alchimia,
magia e altre scienze esoteriche. L’opera immensa dei fratelli di
Tessalonica non si limitò tuttavia all’invenzione di un alfabeto capace
di trascrivere le lingue slave. Per tradurre adeguatamente il Nuovo
Testamento occorreva anche “inventare” un’enorme quantità di parole per
esprimere concetti che non esistevano nella cultura di quei popoli. È
per merito di Cirillo che le loro lingue acquistarono da allora
un’autonoma e ricca capacità espressiva. Gli sviluppi della missione in
Moravia furono imprevedibili. Quel paese era sottoposto alla
giurisdizione ecclesiastica di Roma, attraverso gli arcivescovadi di
Salisburgo e quelli bavaresi, e il clero tedesco appoggiava in pieno
l’espansionismo carolingio verso i territori slavi e non sopportava che
il cristianesimo slavo si appoggiasse su testi e liturgia nelle lingue
nazionali, segno evidente di indipendenza. Secondo i vescovi tedeschi,
solo tre erano le lingue in cui potevano essere letti e commentati i
testi biblici e dei Padri della Chiesa: l’ebraico, il greco e il latino.
La loro opposizione a Cirillo e Metodio e ai loro allievi e seguaci fu
durissima, tanto più che era evidente che questi ultimi avrebbero ben
presto sostituito il clero tedesco presso gli slavi. Comunque i due
maestri greci portarono a termine la loro missione in tre anni; quindi,
con un gruppo di allievi, si misero in cammino verso Venezia, con
l’intento di fare ordinare questi ultimi sacerdoti dai vescovi veneti,
per formare così un primo nucleo di clero nazionale moravo. Nel viaggio
attraversarono la Pannonia, vasta regione a sud del Danubio, il cui
principe, Kocel, accolse i missionari con grande onore. Apprezzò molto
il loro operato e i nuovi testi redatti in lingua slava, e decise di
seguire l’esempio della Grande Moravia avviando la formazione di un
proprio clero nazionale. Giunti a Venezia, Cirillo e Metodio
furono aspramente attaccati dal clero latino in nome del solito
trilinguismo, una sciocchezza del tutto ignota a Costantinopoli. Il
clamore della diatriba spinse il papa Nicola, ostile ai bizantini, a
chiamare a Roma i due greci, probabilmente con l’intento di sanzionare
il loro operato. Ma, giunti a Roma i due trovarono un nuovo papa,
Adriano II, assai più favorevole e aperto. Cirillo e Metodio, inoltre,
avevano un vero asso nella manica, perché recavano seco le reliquie di
san Clemente papa, da loro stessi ritrovate in Crimea. L’accoglienza del
clero e del popolo romano fu trionfale. I libri slavi furono approvati e
consacrati in San Pietro. Il papa stesso ordinò Metodio sacerdote, e
sacerdoti furono ordinati alcuni dei seguaci slavi. Il papa presenziò a
una messa in slavo in San Pietro. Tuttavia Roma non nominò un vescovo
slavo per non provocare la reazione dei tedeschi. Poche settimane dopo,
stremato dalla fatica, Costantino, l’apostolo degli slavi, moriva a soli
quarantadue anni. Quando sentì avvicinarsi la fine, abbandonò tutte le
cure terrene, si fece dare la tonsura, assumendo il nome di Cirillo, e
spirò da semplice monaco. Il principe Kocel di Pannonia ottenne dal papa
di avere Metodio presso di sé, in funzione di arcivescovo, ma Adriano
II fece di più: inviò Metodio come metropolita di tutti gli slavi, di
Moravia e di Pannonia. Con questo atto, il papa voleva anche rafforzare
la sua giurisdizione sulle terre slave e arginare l’invadenza dei
tedeschi. Metodio divenne inoltre legato pontificio, e la sua
giurisdizione su entrambi gli stati slavi impedì che in uno di essi si
formasse una Chiesa nazionale sotto l’influenza di Costantinopoli. La
reazione dei vescovi bavaresi non si fece attendere: all’insaputa del
papa, Metodio fu trascinato in un giudiziofarsa, imprigionato e
torturato, e il suo seguito disperso. L’imperatore Ludovico il Germanico
aveva reso vassalla la Moravia, i vescovi bavaresi avevano fatto
accecare il principe Ratislav e ricattavano Kocel di Pannonia. Solo dopo
due anni il successore di Adriano II, Giovanni VIII, venne a conoscenza
di questi atti e fece liberare Metodio che ritornò in Moravia, nel
frattempo ribellatasi all’imperatore tedesco. Metodio riprese la sua
opera di apostolato e di educazione, che corrispose al periodo di
maggiore fioritura dello stato moravo. Profondo conoscitore della lingua
slava, (allora unica lingua indifferenziata di tutti gli slavi) Metodio
si dedicò a un’intensa produzione letteraria e di traduzione del greco.
Grande giurista, si preoccupò di formare le basi testuali
dell’amministrazione ecclesiastica. Tuttavia gli attacchi del clero
tedesco continuavano con rinnovate calunnie e minacce, e ancora una
volta il grande arcivescovo dovette ecarsi a Roma per difendersi. Poi,
improvvisamente, partì per Costantinopoli. Fu un viaggio rigeneratore
quello dell’ultimo ritorno nella grande metropoli amica, con l’abbraccio
del vecchio protettore, il grande patriarca Fozio, e l’entusiastica
stima dell’imperatore Basilio I, che lo fece riaccompagnare nella sua
sede con grande onore. Qui Metodio lavorò alacremente ancora quattro
anni, ormai incurante degli squallidi attacchi dei suoi avversari. Portò
a compimento la traduzione delle Scritture e un compendio dei grandi
Padri della Chiesa. Poi, terminato il suo lavoro, celebrò una splendida
liturgia di ringraziamento, e non mancò di introdurre in Moravia il
culto del suo santo prediletto, Demetrio di Tessalonica. Finalmente, tre
giorni dopo la domenica delle Palme dell’885, il grande arcivescovo
raggiunse il fratello. Dopo la morte di Metodio, i vescovi tedeschi
ebbero la meglio e convinsero il nuovo papa Stefano V a ipristinare
l’obbligo del latino e a cancellare l’opera dei bizantini. I discepoli
di Cirillo e Metodio furono dispersi, esiliati, incarcerati e venduti, a
Venezia, come schiavi. Questi ultimi furono infine riscattati
dall’imperatore Basilio e ricondotti a Costantinopoli.
(di Andrea Dué)
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