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23/08/2018

Santa Rosa da Lima

Prima santa canonizzata del continente sudamericano è patrona principale dell’America Latina. Nella sua breve vita sperimentò l’intimità della preghiera: “Posso spiegarmi solo con il silenzio”, amava ripetere. E insieme fu animata da una sollecitudine, che oggi si definirebbe solidarietà, verso gli indios, i più miseri ed emarginati del popolo peruviano. Ne condivise l’abbandono e le sofferenze, cercò di trasmettere il suo sogno e il suo entusiasmo missionario ai sacerdoti: “Dobbiamo portare salvezza e santità tra gli indigeni”. Isabella Flores Oliva nacque il 20 aprile 1586 da Gaspare Flores, gentiluomo della Compagnia degli Archibugi, e da Maria Oliva. Il padre, nato in Spagna, era emigrato prima in Portorico e poi a Lima, la capitale del viceregno del Perù detta all’epoca Ciudad de los Reyes, celebre per le ricchezze che gli spagnoli avevano sottratte al re Atahualpa dopo la conquista dei territori degli Incas. Decima di tredici figli, fu battezzata Isabella come la nonna, un nome caro all’aristocrazia spagnola. Ma venne chiamata Rosa dalla sua balia india Mariana che, secondo l’usanza indigena, le diede il nome di un fiore per sottolinearne la bellezza. L’amore della balia, alla quale rimase sempre legata come a una vera madre, fu sicuramente il primo motivo che portò Rosa a prendersi cura degli indios. Si chiedeva perché i conquistatori spagnoli, cristiani, chiamati dal Vangelo all’amore e alla compassione per il prossimo, avevano invece portato nel nuovo mondo tanta sopraffazione e violenza. La scoperta dell’ascetismo fu per Rosa incredibilmente precoce. Raccontanole agiografie che, fin da bambina, contemplava l’immagine dell’Ecce Homo maturando una fede mistica di forte stampo spagnolo, fatta di sacrifici fisici, eroismo, fervore. Aveva cinque anni quando decise di digiunare a giorni alterni.

A sei anni già si sottoponeva a penitenze per mortificare la vanità, come quando nascose degli aghi in una coroncina da mettere tra i capelli che la sua mamma le aveva preparato per un giorno di festa. E intanto si appassionava allo studio, imparava l’arte del ricamo, curava i fiori nel giardino di casa: per questa sua predilezione è la patrona dei giardinieri. Quando la famiglia dovette rinunciare all’agiatezza per una serie di dissesti Rosa, ormai giovinetta, aiutò lo scarso bilancio girando nelle abitazioni dei nobili di Lima pervendere i suoi ricami e i suoi fiori. Dopo aver conosciuto la povertà della sua casa, scopriva nei suoi giri per i quartieri una povertà ben più umiliante, quella degli indios avviliti dalle privazioni, circondati di disprezzo. Aveva letto alcuni testi su santa Caterina da Siena, che la incantò e divenne per lei come “madre e sorella”, un modello di misticismo contemplativo e di servizio ai fratelli. A vent’anni, il 10 agosto 1606, vestì l’abito di terziaria domenicana come Caterina, volle chiamarsi Rosa di santa Maria e si ritirò in una casupola in fondo al giardino che diventerà la sua cella monastica. Una scelta tanto radicale scandalizzò i benpensanti di Lima, molti la considerarono fuori di testa, ma intanto alcuni cominciarono a visitarla nel suo rifugio e rimanevano colpiti dalla sua spiritualità inconsueta per una ragazza così giovane e così bella. Negli anni, la fama del suo ascetismo si diffuse in città, molti cominciarono a parlare delle sue estasi, durante le quali si sentiva in unione mistica con Cristo. Lei stessa ne scrisse così: “Il Salvatore levò la voce e disse: ‘Tutti sappiano che la grazia segue alla tribolazione, che senza il peso delle afflizioni non si giunge al vertice della grazia, e comprendano che quanto cresce l’intensità dei dolori, tanto aumenta la misura dei carismi. Nessuno erri né si inganni: questa è l’unica vera scala del paradiso e al di fuori della croce non c’è altra via per salire al cielo’.

Udite queste parole, mi sentii spinta a scendere in piazza per gridare a tutti: ‘Ascolta popolo, ascoltiamo genti tutte. Da parte di Cristo e con parole della sua stessa bocca, vi avverto che non si riceve grazia senza soffrire… Questo è l’acquisto e l’ultimo guadagno della sofferenza ben accettata’”. Alla vita di preghiera e penitenza che conduceva nel ritiro del suo minuscolo eremo, Rosa di santa Maria univa la sollecitudine per gli altri. Divenne l’infermiera della nonna malata a letto, continuava i suoi lavori manuali di cucito e ricamo da vendere per soccorrere i più miseri, cominciò ad accogliere nella casa paterna alcuni bambini e anziani abbandonati, quasi tutti di origine india. Ma il suo fisico cominciava a cedere, macerato dalle mortificazioni, dai digiuni, dalle veglie: ogni notte, solo tre ore di sonno, il resto dedicato alla contemplazione; e ogni giorno impegnato nella cura dei bisognosi. Nel 1614, la madre preoccupata per le sue condizioni ormai quasi allo stremo, la convince a lasciare la casupola in fondo al giardino e a trasferirsi nella casa di una coppia di amici, donna Maria de Ezategui e don Gonzalo de la Maza che era funzionario nel governo del viceré. Qui Rosa visse tre anni relativamente sereni, sempre immersa nel suo mondo spirituale e conobbe l’esperienza mistica delle “nozze con il Signore”. Morì il 24 agosto del 1617, a 31 anni, sfinita dalle penitenze. Nello stesso anno uscì la prima Vita di Rosa di santa Maria, che venne subito mandata a Roma per l’inizio del processo canonico, insieme ad una supplica dei domenicani e degli altri ordini presenti a Lima. La stessa richiesta arrivò in Vaticano dalla corte spagnola, con lettere del futuro Carlo II e della regina madre donna Mariana. Il processo fu aperto nel 1634, per speciale disposizione di papa Alessandro VII. Rosa da Lima, popolarissima non solo in America ma anche nell’Europa cattolica, venne proclamata santa da papa Clemente X nel 1671. Il suo corpo è venerato a Lima, nella basilica domenicana del Santo Rosario.