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24/07/2018

Santa Cristina di Bolsena

Santa Cristina è definita “la grande martire” per il numero e l’atrocità dei tormenti che le furono inflitti. Scarsi elementi storici e abbondante tradizione popolare si intrecciano nel racconto della crudeltà contro l’innocenza, l’eterna lotta tra il bene e il male. Per la festa del 24 luglio, la passione della santa patrona viene rivissuta a Bolsena, la cittadina in provincia di Viterbo distesa sul lago omonimo. È una forma antica di sacra rappresentazione, composta di una serie di quadri viventi che appaiono sui palchi lungo le vie. Sono i Misteri di Bolsena. Li interpretano ragazze e ragazzi del luogo, ogni anno impegnati a rappresentare, in silenzio e con pochi movimenti, l’inaudita ferocia con cui i persecutori cercarono inutilmente di piegare la fede di una giovinetta. Rivivono nei Misteri gli episodi del martirio: la ruota accesa e la caldaia di pece bollente, la pietra al collo per gettarla nel lago e i morsi di serpenti velenosi. Tra le mani dei giovani che compongono i quadri plastici appaiono anche delle innocue bisce, catturate in campagna prima della festa e poi liberate. La tradizione ha un lato di affettuosa tenerezza nella “treccia di santa Cristina”, un pane speciale che si mangia in ricordo della santa. La festa in onore della patrona è una delle più caratteristiche tra le tante dei paesi italiani. Gli storici collocano la persecuzione della fanciulla cristiana in date vaghe lungo il III secolo. Figlia del magister militum Urbano, comandante del distaccamento militare locale, Cristina aveva solo undici anni quando fu rinchiusa dal padre in una torre insieme a dodici ancelle, affinché venerasse i simulacri degli dei come una vergine vestale. Ma la giovinetta rifiutò di onorarli, perché già conosceva nel suo cuore il vero Dio. Un angelo la confortò e la nutrì, mentre i simulacri degli dei caddero misteriosamente in pezzi. Il padre volle punirla per la ribellione ai suoi voleri e la condannò al supplizio della ruota sotto la quale ardevano le fiamme. Cristina sopravvisse e, portata in prigione, venne miracolosamente guarita da tre angeli.

Urbano, spaventato da tanti prodigi, inferocito per le conversioni al Cristianesimo che essi portavano, ordinò che la figlia fosse gettata nel lago con una grande pietra legata al collo. Ancora una volta gli angeli la salvarono, facendo galleggiare la pietra sulle acque e riportandola a riva. L’empio padre non resistette al nuovo miracolo e, forse anche stravolto da un tardivo pentimento, fu sopraffatto da morte improvvisa. La leggenda lo rappresenta mentre i diavoli lo afferrano per i piedi e lo fanno precipitare nell’inferno. Il martirio di Cristina non è finito. Il successore del padre, Dione, la fa flagellare e poi gettare in una caldaia di pece bollente. Cristina ne esce indenne. Anche Dione muore, gli succede un altro temerario, di nome Giuliano, che decide di farla finita e ordina di gettarla in una fornace ardente. L’indomabile Cristina, ancora una volta illesa, viene portata al tempio di Apollo e costretta a inginocchiarsi davanti alla statua del dio pagano. Ma sotto il suo sguardo la statua si incenerisce. Giuliano non si rassegna all’inaudita potenza spirituale della giovinetta inerme e, con sadica pervicacia, decide di esporla al morso dei serpenti velenosi. Fa arrivare uno “specialista” dalla Marsica, terra già allora nota per la pericolosità dei suoi rettili. Ma le serpi si rivoltano contro il serparo, che subito cade a terra stecchito. Cristina, impietosita per la sorte del poveraccio, intercede per lui che resuscita e si converte. Finalmente Dio permise la liberazione della sua creatura tormentata dai supplizi. Saranno gli arcieri a trafiggerla. Muore “frecciata” come san Sebastiano. È questa l’ultima immagine, riprodotta in una statua quattrocentesca di autore senese, in legno policromo, che sta nella basilica di Bolsena. La santa indossa una veste blu trapunta di gigli dorati, la mano destra stretta sulla freccia letale che le ha colpito il petto, la sinistra abbandonata sul fianco regge un libro. La statua veniva ogni anno portata in processione il 24 luglio, oggi non più perché si teme che subisca dei danni. Nello stesso santuario, composto di tre chiese e di una grotta, una terracotta bianca e celeste, opera di Benedetto Buglioni già allievo di Luca della Robbia, mostra Cristina accanto alla Madonna mentre tiene tra le mani la pietra mugnaia che doveva farla affogare in fondo al lago e invece galleggiò come una tavola.

Nella grotta sotterranea alla basilica, gli scavi condotti nel 1880-1881 hanno rivelato che il culto di santa Cristina era fervido già dal IV secolo. Venne alla luce anche un sarcofago che conteneva un’urna di marmo con le ossa di una giovane tra gli undici e i quattordici anni. Impossibile accertare se quei resti fossero le reliquie di santa Cristina. È sicuro invece che nel 1084, papa Gregorio VII e Matilde di Canossa si recano sulla Martana, una delle due isole del lago, per riportare a Bolsena le reliquie che nel primo Medioevo erano state nascoste in un luogo segreto per difenderle dalle scorrerie. È stupefacente quanto la figura della martire cristiana abbia incantato nei secoli pittori e scultori. Sono innumerevoli, e sparsi in tutte le chiese del mondo, i quadri e le statue dedicati alla santa del lago. L’arte e la religiosità popolare hanno rappresentato le sue vicende in una galleria sterminata, a testimonianza di un amore diffuso in tutti i continenti. Santa Cristina di Bolsena è considerata protettrice contro il veleno dei serpenti, patrona dei marinai perché si salvò dalle acque, patrona dei mugnai perché la pietra con cui venne gettata nel lago era una macina da mulino. La sua Passio appartiene soprattutto alla devozione popolare. Ma già nella contesa tra una giovinetta indomita e la sopraffazione di segno maschile emerge un dato storicamente sicuro. È il ruolo che il Vangelo ha dato alle donne e che presto si diffuse tra i primi cristiani. In una parità sconosciuta ai costumi del tempo, le donne erano coinvolte nell’annuncio come gli uomini e chiamate a testimoniarlo fino al martirio estremo con una forza appunto “virile”, come si diceva una volta. L’adesione a Cristo fu per esse un mezzo di riscatto nella comunità che professava la medesima fede. E un prestigio speciale venne attribuito alle martiri, per il coraggio fino all’eroismo che attirava l’ammirazione anche dei pagani e spesso li guidava alla conversione.


(Testo di di Franca Zambonini)