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23/01/2018

Sant’Ildefonso

La sua famiglia, già potente sotto i romani, lo rimane anche sotto i visigoti, e gli prepara una carriera adeguata. Ma lui scappa nel monastero dei Santi Cosma e Damiano, si fa monaco, arriva al diaconato e qui si ferma. I confratelli lo eleggono ugualmente loro abate, perché è tutto pietà, cultura, energia, un parlare attraente. È anche scrittore di rara efficacia. Verso i cinquant’anni deve però lasciare il monastero: è morto Eugenio, il vescovo di Toledo, e al suo posto si vuole proprio lui, Ildefonso. Per convincerlo si muove il re visigoto Recesvinto in persona. Così, nel 657, eccolo vescovo di quella che all’epoca è la capitale del regno. Ora non ha più molto tempo per i libri, impegnato com’è a scrivere tante lettere, e non proprio allegre. Abbiamo di lui pagine angosciate sugli scandali di certi cristiani influenti e falsi, sui conflitti duri con il re, che pure lo stima; e sui troppi ecclesiastici malamente immischiati in affari di Stato. Era davvero meglio il monastero: pregare insieme, studiare, scrivere. Ildefonso ci ha lasciato opere di dottrina morale, trattati sulla Madre di Gesù, inni liturgici, e anche l’opera divulgativa De viris illustribus (Degli uomini illustri) che è un po’ una continuazione delle Etimologie di Isidoro di Siviglia (ca. 570-636), la grande “enciclopedia” di tutto l’alto Medioevo. Ildefonso non può vivere senza insegnare, convinto anche lui (come san Braulio vescovo di Saragozza) che il sapere “è un dono comune, non privato”; e che perciò deve essere distribuito a tutti. La sua devozione mariana colpisce i fedeli, suscitando anche racconti di fatti prodigiosi. Come quando, al momento di una celebrazione solenne, dicono che sia comparsa in chiesa la Madonna, porgendo a Ildefonso l’abito liturgico (pianeta) per il rito. Dopo la morte il corpo viene sepolto a Toledo, e più tardi a Zamora, in Castiglia, a causa dell’invasione araba. I fedeli lo hanno “gridato santo” da subito, collegando sempre il suo nome a quello della Vergine Maria. Dieci secoli dopo la sua morte, sarà ancora così, nei dipinti dei maestri del siglo de oro: El Greco, Velázquez, Murillo, Zurbarán, con molti altri in tutta Europa, continueranno a effigiare il vescovo di Toledo accanto alla Madre di Gesù. Come fa Guido Reni nella basilica di Santa Maria Maggiore di Roma. La grande arte rifletteva gli stati d’animo popolari, espressi nel culto spontaneamente tributato a Ildefonso dai fedeli, e dal suo successore Giuliano, che ne ha scritto la vita.