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01/12/2017

Sant'Eligio

Gli si presenta il diavolo vestito da donna: e lui, Eligio, rapido lo agguanta per il naso con le tenaglie. Questa colorita leggenda è raffigurata in due cattedrali francesi, Angers e Le Mans; e nel duomo di Milano, con la vetrata di Niccolò da Varallo, dono degli orefici milanesi nel Quattrocento.
L’Eligio storico, figlio di gente modesta, nato attorno al 588, deve aver ricevuto tuttavia un’istruzione, perché viene assunto come apprendista dall’orefice lionese Abbone, che dirige pure la zecca reale: un grande maestro nella sua arte. E l’allievo Eligio non è da meno. Della sua fama di artefice e di galantuomo parla un singolare racconto, non documentato: il re Clotario II gli commissiona un trono d’oro, dandogli il metallo occorrente. E lui, con quello, di troni gliene fa due. Dimezzato il preventivo: cose mai viste, né prima né dopo. Sotto Clotario, Eligio dirige la zecca di Marsiglia, e continua a fare l’orefice. Con re Dagoberto I (623-639) è chiamato a corte: il sovrano lo fa ambasciatore, per missioni di fiducia. Altri incarichi se li prende da solo: per esempio, riscattare a sue spese i prigionieri di guerra, fondare monasteri maschili e femminili. Morto il re, sceglie la vita religiosa, e il 13 maggio 641 viene consacrato vescovo di Noyon-Tournai.
Comincia un’esistenza nuova. Eligio s’impegna a evangelizzare il nord della Gallia, nelle regioni della Mosa e della Schelda, nelle terre dei frisoni, insieme con altri vescovi come Audoeno di Rouen (che sarà anche il suo biografo), Amand di Tongres, Sulpizio il Pio di Bourges. E la sua vita si conclude sul campo, in terra olandese (di qui i suoi resti verranno riportati a Noyon solo nel 1952). Subito il suo culto si diffonde in Francia, in Germania e anche in Italia. Sant’Eligio è patrono degli orafi, e di tutti gli artigiani dei metalli, dei carrettieri, dei netturbini, dei mercanti di cavalli, dei maniscalchi, e oggi anche dei garagisti.