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26/04/2018

San Pascasio Radberto

È un “figlio di nessuno”, abbandonato fin dalla nascita. Raccolto e allevato dalle monache benedettine di Soissons, studia poi nel monastero maschile della stessa città. Radberto è il suo nome; più tardi prenderà anche quello romano di Pascasio, come è consuetudine del tempo tra i letterati. Riceve anche la tonsura, entrando così nel ceto ecclesiastico (senza gli ordini, al momento), anche se per qualche tempo è famoso a Soissons piuttosto come viveur, tra brigate di gaudenti.

A ventidue anni, eccolo nel severo monastero benedettino di Corbie, presso Amiens, che ha per abate un futuro santo, Adalardo. Guidato da lui, Radberto riprende gli studi: il brillante letterato diviene anche maestro di teologia, commentatore della Scrittura e dei Padri della Chiesa. Accompagna Adalardo in Sassonia dove questi fonda un monastero gemello di Corbie. Poi, sempre a Corbie, diventa prima direttore degli studi e infine abate. I monaci lo eleggono sebbene non sia sacerdote; e per modestia non lo diventerà mai, fermandosi al diaconato. Ma è duro fare l’abate a Corbie. Le contese dottrinali dividono i monaci. E questo è grave, ma anche naturale, fisiologico; e c’è vera passione tra le parti in contesa. Più gravi sono invece le inframmettenze del potere regio, che fa regali ai monasteri ma poi esige il tornaconto. Il re di Francia, Carlo il Calvo, vuole obbligare Radberto a riaccogliere nel monastero un suo cugino, già scacciato per indegnità. Radberto rifiuta e se ne va: via dalla carica, via da Corbie. È l’anno 851.

I monaci poi lo richiamano e lui torna. Ma a patto di non avere più cariche e gradi. Ha partecipato a concili, trattato con sovrani, predicato in missione, ma ora vuole essere monaco e basta. Preghiera e studio, fino all’ultimo giorno. Scrive trattati di teologia eucaristica, studi su Maria Madre di Gesù, vite di santi, commenti a testi biblici. E tra questi ultimi, il più ampio, quello dedicato al Vangelo di Matteo, verrà citato ancora nel XX secolo dal Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla Chiesa, Lumen gentium. Si farà seppellire nel reparto dei poveri e dei servitori del monastero. Nel 1058, però, il corpo viene accolto nella chiesa abbaziale con gli onori riservati ai santi, e si stabilisce al 26 aprile la sua festa annuale. Sfuggiti nel XVIII secolo alle devastazioni della Rivoluzione francese, i resti saranno deposti nella chiesa parrocchiale di Corbie, dove si trovano tuttora.