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28/08/2018

San Mosè l’Etiope

Conosciamo la sua vita attraverso il racconto di uno scrittore nato in Asia Minore, Palladio. Questi racconta che il brigante Mosè l’Etiope aveva una sua banda scorrazzante attraverso l’Egitto; nelle campagne indifese, soprattutto. Dopo le rapine si abbandonava con i suoi a sfrenate baldorie. Doveva essere dotato di eccezionale forza fisica. Poi l’illuminazione, o più probabilmente, un mutamento graduale. Ma duraturo e senza ripensamenti. Anzi, Mosè riesce a convertire anche uno dei suoi peggiori complici. Il rapinatore è diventato vero monaco. Vive nella sua cella, prega da solo e con gli altri. Un giorno lo vedono arrivare in chiesa portando sulle spalle, legati, quattro rapinatori, che avevano fatto irruzione nella sua cella senza riconoscerlo. Mosè, con l’antico vigore, li ha portati “come un sacco di paglia” davanti agli altri monaci, domandando: “Io non passo più fare male a nessuno; allora, che cosa faccio di questi?” I ladri si convertono a loro volta, dicendo: “Se Mosè, un tempo grande nelle rapine, ha sentito il timor di Dio, noi che cosa aspettiamo a fare altrettanto?”
Ma la sua non è una conversione tranquilla: a volte il passato torna con i suoi richiami: “I demoni lo spingevano all’antica consuetudine di sfrenata lussuria”. Sente che da solo non ce la fa a resistere, si fa guidare dal vecchio monaco Isidoro, e riesce gradualmente a liberarsi. Infine, poco prima di morire, diventa anche sacerdote; e lascia settanta discepoli, conclude Palladio. Il “ladrone insigne”, annota il Martirologio romano, si è trasformato in “insignis anachoreta”, in illustre anacoreta.