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21/09/2018

San Matteo evangelista

L’ istante che aveva radicalmente mutato la sua esistenza di modesto esattore delle imposte è raccontato da Matteo in un solo versetto del suo Vangelo: “Gesù vide un uomo seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: ‘Seguimi!’ Ed egli si alzò e lo seguì”. La scena avrà una straordinaria rappresentazione pittorica nella tela del Caravaggio per la cappella Contarelli nella chiesa romana di San Luigi dei Francesi. In essa un Cristo illuminato dalla luce radente di una finestra, posta alle sue spalle, punta l’indice – citazione dell’indice del Creatore che sveglia alla vita Adamo nel celebre affresco michelangiolesco della Cappella Sistina – su uno stupito e sconcertato Matteo, che sta seduto al banco della dogana di Cafarnao. Marco e Luca assegnano a Matteo un altro nome, Levi, probabilmente come era avvenuto per lo stesso Marco, denominato anche Giovanni, e come valeva per Barnaba, detto pure Giuseppe, o per il sommo sacerdote Caifa che, secondo lo storico Giuseppe Flavio, si chiamava ugualmente Giuseppe. Da esattore o “pubblicano” (in greco telónes), ossia da funzionario dell’appalto delle imposte per l’Impero romano e per i vari principi locali, Matteo Levi era divenuto apostolo di Gesù di Nazaret, ma l’evangelista non aveva dimenticato la sua antica professione quando, elencando a coppie i Dodici, aveva evocato “Tommaso e Matteo il pubblicano”.

Il suo autoritratto ideale, però, potrebbe essere rintracciato proprio all’interno del suo Vangelo. Infatti Matteo nella sua opera si rivela attento al tesoro delle Sacre Scritture come erano gli scribi di Israele, ossia gli studiosi della Legge e delle tradizioni giudaiche: “Ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”. Matteo, infatti, usa nel suo Vangelo almeno sessantatre citazioni bibliche dirette, delle quali dieci sono introdotte con una “formula di compimento” per affermare che in Cristo si compie in pienezza l’annunzio profetico: “Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta”. Innumerevoli sono, poi, le allusioni, i rimandi, i temi, i simboli desunti dall’Antico Testamento e usati per l’elaborazione del racconto evangelico matteano.
Matteo è stato nei secoli cristiani l’evangelista più popolare, considerato già da sant’Ireneo, vescovo di Lione nel II secolo, come il primo autore di un Vangelo (anche se gli studiosi ora optano per Marco, che fu la fonte primaria dello stesso Matteo). Un altro vescovo, Papia di Hierapolis, l’attuale città turca di Pamukkale, riteneva che egli avesse composto innanzitutto un testo “in dialetto ebraico”,  comprendente in particolare detti e discorsi di Gesù, tradotto e “interpretato da altri come ne erano capaci”. È nata, così, l’ipotesi di un “Matteo aramaico” originario, di cui però non è giunta a noi traccia alcuna. L’attuale Vangelo di Matteo è, infatti, in greco scorrevole e non è riconducibile a una mera versione dell’aramaico, la lingua popolare usata al tempo di Gesù, anche se si intuisce che l’autore pensa secondo una lingua materna diversa, semitica come lo erano l’ebraico e  l’aramaico. Siamo di fronte a un ampio scritto, fatto di 18.278 parole greche, distribuite ora in 1.070 versetti e ventotto capitoli e segnate dal simbolismo numerico: il sette domina (sette invocazioni nel “Padre nostro”, sette parabole, sette “guai!” contro scribi e farisei, sette pani moltiplicati, sette volte è di scena il monte ecc.). Ma sono importanti anche il tre e il cinque. E a questo proposito ricordiamo che il Vangelo si regge su cinque grandi discorsi che presentano Gesù come il nuovo grande Mosè che propone la sua Legge: non si può ignorare che la Torah o Legge ebraica era concentrata nei primi cinque libri della Bibbia. Il primo discorso, detto “della montagna”, con evidente rimando allusivo al Sinai, può essere considerato come la Magna Charta del Cristianesimo. Esso si apre con la pagina indimenticabile delle “Beatitudini” e raccoglie al suo interno interventi pronunziati da Gesù in momenti diversi del suo ministero e unificati in queste pagine da Matteo.

Il secondo discorso è segnato da alcune parole-chiave come “discepolo, apostolo, dodici, inviare, accogliere”. È per questo che è stato chiamato “il discorso missionario” e riflette l’impegno di evangelizzazione della Chiesa sulla base del mandato di Cristo. Discorso di parabole è, invece, il terzo: attraverso sette racconti simbolici, talora accompagnati da un commento esplicativo e applicativo, si delinea il mistero del “regno di Dio”, ossia del progetto salvifico di Dio nei confronti della storia e dell’umanità, chiamata a rispondere con la sua libertà e le sue opere giuste.
Il quarto discorso di Cristo riguarda la comunità ecclesiale e la sua vita nella fede e nella carità. Matteo è sensibile al tema della Chiesa: significativo è anche il celebre passo petrino nel quale Simone è costituito Pietro, pietra sulla quale Gesù edifica la sua comunità, affidandogli le chiavi dell’autorità, e il ministero del perdono e del giudizio. Infine, il quinto e ultimo discorso, detto “escatologico”, ossia consacrato alla meta estrema della storia umana, è suggellato dalla scena grandiosa del giudizio finale di Cristo sulle opere degli uomini, con attenzione specifica all’amore. La narrazione della passione, morte e risurrezione di Cristo è l’apice del Vangelo e in queste pagine conclusive si rivelano, da un lato, una certa tensione col mondo ebraico, da cui Matteo e i suoi lettori provengono, e d’altro lato l’apertura universalistica del messaggio cristiano. Infatti il Risorto esorta così gli apostoli: “Andate e fate discepole tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo”. A Matteo verrà assegnato come simbolo l’uomo (spesso trasfigurato in angelo) sulla base della libera applicazione agli evangelisti dei quattro viventi dell’Apocalisse: forse perché il suo Vangelo iniziava con la genealogia umana di Gesù, da Abramo e Davide fino a Maria. La tradizione leggendaria posteriore lo farà diventare missionario in Etiopia ove compirà miracoli e conversioni, ma ove subirà anche il martirio. Le sue reliquie sarebbero state trasferite nel X secolo a Salerno. La storia dell’arte farà riferimento alle sue pagine, più degli altri Vangeli, per illustrare gli eventi della vita di Gesù. Nella storia della musica rimane capitale la Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach, eseguita per la prima volta il Venerdì santo 15 aprile 1729. Ma anche un’arte moderna come il cinema ha nel Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini (1964) un suo splendido emblema.

(di Gianfranco Ravasi)