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27/02/2018

San Gabriele dell'Addolorata

Francesco Possenti che, più tardi, avrebbe preso il nome di Gabriele dell’Addolorata, nacque a Assisi, da una famiglia agiata e di una certa rilevanza sociale. Il padre Sante, avvocato e alto funzionario dello Stato pontificio, era governatore della città, ma nel 1841 fu trasferito a Spoleto, come giudice nel locale tribunale. Morta improvvisamente la madre, il giovane Francesco, all’età di sei anni, fu affidato ai Fratelli delle scuole cristiane di Giovan Battista de La Salle, e nel 1850, a dodici anni, entrò nel collegio dei gesuiti. Francesco studia con ottimi risultati; è un giovane elegante e vivace, e frequenta volentieri la buona società spoletina, ma sul futuro nutre molte incertezze, e si sente attratto e affascinato dalla vita religiosa. Il clima religioso di Spoleto, dopo la caduta della Repubblica romana del 1849, mirava alla valorizzazione delle comunità religiose e alla diffusione della devozione al sacro Cuore e a Maria Vergine, che aveva avuto momenti particolarmente solenni nelle celebrazioni per la definizione del dogma dell’Immacolata Concezione.  Anche l’ambiente dei gesuiti rafforzò la sensibilità del giovane Francesco verso la devozione mariana, già trasmessagli dall’educazione religiosa ricevuta in famiglia. Nell’ambiente del collegio, Francesco meditò sulla vita di Cristo, e sul contrasto fra Cristo e il mondo, che sarà una delle caratteristiche della sua vocazione e che cominciò a fargli prendere le distanze dalla vita della società in cui era inserito. Al sorgere di uno stato d’animo nuovo contribuirono certamente anche i ripetuti lutti che colpirono la famiglia: oltre alla madre, due fratelli, uno dei quali morto suicida, e infine, nel 1855, la sorella maggiore Maria Luisa. Il dolore di queste prove, alle quali si aggiungeva anche uno stato di salute piuttosto malfermo (era frequentemente ammalato alle vie respiratorie), gli diede il segno dell’inconsistenza delle gioie umane, e contribuì al distacco dall’esistenza fino allora condotta, facendolo propendere per la scelta della vita religiosa. Una scelta che fu a lungo incerta, anche per l’opposizione del padre, che avrebbe voluto inserirlo nella vita amministrativa. Dopo una prima richiesta di essere ammesso nella Compagnia di Gesù, nel 1856, su consiglio del suo confessore, scelse di entrare nella congregazione della santissima Croce e Passione, fondata da san Paolo della Croce. I passionisti erano noti in tutto lo Stato pontificio per le missioni popolari che vi tenevano. A una vita austera, vissuta in luoghi molto appartati e fatta di silenzio, preghiera e penitenza, la loro Regola univa l’esercizio della carità, che si esprimeva nella predicazione alle popolazioni più povere, le cosiddette missioni. Francesco aveva 18 anni quando chiese di essere ammesso al noviziato di Morrovalle, nei pressi di Macerata, dove nel 1856 vestì l’abito passionista assumendo il nuovo nome di Gabriele di Maria Addolorata.

Gabriele vive con entusiasmo la rigidità della Regola, compie austere penitenze e mortificazioni, seguendo un percorso di formazione incentrato sulla meditazione della Passione di Cristo. Nel settembre del 1857 emette la professione religiosa e l’anno successivo si trasferisce a Pieve Torina (Macerata) per proseguire gli studi filosofici sotto la guida di Padre Norberto Cassinelli. Per completare gli studi in vista dell’ordinazione sacerdotale viene inviato nel piccolo convento dell’Immacolata Concezione di Isola, ai piedi del Gran Sasso. Qui Gabriele moltiplica le pratiche ascetiche e le devozioni mariane, esercita la carità verso i poveri della zona, mentre va crescendo la stima di cui gode presso i superiori. Nel maggio del 1861 nella cattedrale di Penne (Pescara) riceve gli ordini minori. La sua salute va però rapidamente peggiorando, anche per le privazioni cui si sottopone e le condizioni di vita del convento. Gabriele non arriva al sacerdozio. Lo stato della sua salute da una parte, ma soprattutto le vicende politiche e militari del 1860-61, che portarono alla proclamazione dell’Unità d’Italia (oltre alle numerose incursioni di bande filoborboniche nella zona del Gran Sasso), non consentirono o fecero rinviare le nuove ordinazioni sacerdotali. Ma il suo stato di salute peggiorò rapidamente e lo portò presto alla fine: Gabriele morì il 27 febbraio 1862, e il suo corpo fu inumato nella cripta della chiesa annessa al convento. La morte del giovane passionista fu ben presto ritenuta quella di un santo. Ma nel 1866, in seguito ai decreti di soppressione degli ordini religiosi emanati dal governo italiano, la comunità passionista fu costretta ad abbandonare il convento di Isola. Intanto la storia del giovane novizio cominciava a diffondersi. Già nel 1868 venivano date alle stampe a Torino le Memorie sopra la vita e le virtù di Gabriele, scritte da un canonico di Spoleto, padre Bonaccia. Per un ventennio il desiderio della congregazione di promuovere la causa di beatificazione fu frenato sia dal clima politico di quegli anni sia dalle ristrettezze finanziarie dei passionisti. Nel frattempo, però, anche la Chiesa, soprattutto in occasione del terzo centenario della morte di san Luigi Gonzaga, manifestò la volontà di proporre un modello giovanile di virtù e di sacrificio, in un momento in cui le nuove generazioni sembravano staccarsi dai valori tradizionali. Nel 1891 fu avviata la causa di beatificazione, che prevedeva la riesumazione dei resti mortali di Gabriele per trasferirli a Spoleto. Ma la devozione dei fedeli abruzzesi, si oppose al trasferimento, e i resti mortali di Gabriele restarono in Abruzzo, mentre attorno alla sua tomba venivano da allora registrati un numero crescente di fatti prodigiosi. La storia del “giovane santo” e dei miracoli suoi si diffuse ampiamente, grazie anche ai cantastorie e ai pastori che percorrevano le vie della transumanza sulle montagne. Nel 1894 i passionisti tornarono nel convento di Isola. Gabriele fu dichiarato beato il 31 maggio 1908 da Pio X e canonizzato il 13 maggio 1920 da Benedetto XV. Alla Chiesa del tempo Gabriele apparve come il modello adeguato da offrire ai giovani per additar loro un ideale di virtù e di distacco dai piaceri e dalle vanità del mondo. Così nel 1926 Pio XI lo dichiarò “patrono della gioventù cattolica italiana”. Con il mutamento dei valori e dei  comportamenti tradizionali, Gabriele, più che modello generazionale, è diventato il grande santo taumaturgo dell’Abruzzo e nel 1959 Giovanni XXIII lo ha costituito patrono di quelle terre. Ai pellegrini che affluiscono al suo santuario, eretto nel 1970, accanto alla basilica innalzata nel 1908, Gabriele appare oggi il santo dei giovani, e del sorriso.
(di Dorino Tuniz)