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26/05/2018

San Desiderio Di Vienne

Sono incerti i dati su nascita e morte, ma non quelli della sua vita. Desiderio ne trascorre gran parte nella Gallia centro-orientale, poi passa a Vienne, nell’attuale Delfinato. La città è il cuore di una diocesi tra le più antiche della Gallia. Qui, nell’anno 470, il vescovo Mamerto ha istituito la pratica delle rogazioni, processioni mattutine nelle campagne per tre giorni consecutivi, tra Pasqua e Ascensione, al canto delle litanie dei santi: una pratica estesa poi a tutta la Chiesa da papa Leone III al principio del IX secolo. 
A Vienne, Desiderio compie i suoi studi, quando “in tutte le città della Gallia va scomparendo la conoscenza delle lettere”, come scriverà il suo quasi coetaneo Gregorio di Tours. E fa l’insegnante di “belle lettere”, appunto. Questa passione gli durerà per tutta la vita. E gli procurerà qualche richiamo da papa Gregorio Magno, che lo apprezza molto, ma che non ama il suo interesse anche per la letteratura “profana”. A Vienne, Desiderio riceve il diaconato e poi il sacerdozio dal vescovo Verus. E alla sua morte, sul finire del VI secolo, gli succede come capo della diocesi. 
Questo è il tempo in cui la Gallia, conquistata un secolo prima da Clodoveo e divenuta regno unitario dei franchi, è stata poi divisa alla sua morte (511) in quattro regni, affidati ai figli. Quattro regni che più volte si uniscono e si ridividono, tra dinastie consanguinee e nemiche. È l’epoca del furor regum, scrive Gregorio di Tours: il furore dei re, che praticano la politica dell’omicidio.
Desiderio è suddito della regina Brunechilde, che tiene il potere a lungo, dapprima come moglie del re Sigeberto I d’Austrasia, poi come reggente per suo figlio e per il suo nipotino. Intelligente e autoritaria, punta a fare dei due regni uno stato unitario forte. E certo non bada ai mezzi. I suoi parenti-nemici di Neustria l’accusano di inaudite turpitudini, e la metteranno a morte con ripugnante crudeltà. La regina ha sostenitori anche tra i vescovi. E uno di essi, Aredio di Lione, durante un concilio regionale a Châlon-sur-Saône, accusa Desiderio “con odiose menzogne”, come dicono i suoi biografi (tra i quali c’è il re visigoto di Spagna, Sisebuto). La sua colpa è il parlare chiaro, anche contro la corte. E così dopo l’accusa di Aredio, eccolo destituito e mandato al domicilio coatto su un’isoletta. Dopo qualche anno, proprio Brunechilde ordina che venga ricondotto a Vienne, e reintegrato nella sua autorità episcopale.    Desiderio ha accettato la condanna e, dopo la liberazione, ha ripreso a fare il vescovo. In lui Brunechilde non ha un nemico.   Ma neppure un servo. Sicché, quando c’è un altro scandalo a corte, lui denuncia in chiesa peccato e peccatore, che è il giovane Teodorico II di Borgogna, nipote di Brunechilde. Vengono ad arrestarlo prontamente, lì in chiesa. Poi, l’ordine è probabilmente quello di esiliarlo di nuovo: eccolo infatti partire, sotto scorta militare. Ma il suo cammino si interrompe nei pressi di Lione: un soldato della scorta lo colpisce con una pietra alla testa, poi lo finisce a bastonate. Forse non aveva quest’ordine, e lo ha ucciso per un suo impulso omicida. Però la voce pubblica parla di martirio: lo fanno santo i fedeli. Tre anni dopo, il corpo viene portato nella cattedrale di Vienne. E si dà il suo nome (Didier, in francese) al luogo dell’assassinio: Saint-Didier-sur-Chalaronne.