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27/06/2018

San Cirillo di Alessandria (di Vittorino Grossi)

Cirillo d’Alessandria è conosciuto come il dottore dell’Incarnazione e della Theothókos (Madre di Dio) per la sua teologia approvata nel concilio di Efeso del 431 contro Nestorio. La sua fama è perciò legata alla sua aspra polemica con Nestorio, un monaco antiocheno che, nel 428, era divenuto patriarca di Costantinopoli, allora capitale dell’Impero governato da Teodosio II. Si ebbe fra Cirillo e Nestorio uno scontro tra i due più grandi patriarcati orientali dell’antichità, dovuto a diversi fattori non ultimo la diversità culturale dei due ambienti. L’antiocheno Nestorio era stato discepolo del grande esegeta della scuola antiochena, Teodoro di Mopsuestia; Cirillo di Alessandria si collocava invece nell’ambito della scuola origeniana che faceva del Logos la categoria principale di comprensione della fede cristiana. Se la scuola antiochena, con l’accentuazione della distinzione delle due nature nel Cristo, mirava a salvaguardare, nel Verbo incarnato, tutto il divino e tutto l’umano; gli alessandrini, insistendo nell’unicità del Logos, quale unico soggetto del Verbo incarnato, erano preoccupati di non porre in Cristo due soggetti a fronte, nel caso uno divino, il Logos e uno umano, il Cristo. Nella distinzione dell’umano e del divino da parte di Nestorio gli s’imputava perciò di porre due figli in Cristo: il figlio di Maria, per cui Maria era la Christotókos o madre di Cristo e non la Theotókos o Madre di Dio, e il figlio divino del Padre cioè il Logos.
Fin dal 429 Cirillo nella sua omelia pasquale, senza nominare Nestorio, gli addebitava tale pericolosa distinzione: “Maria” egli spiegava “non ha partorito un uomo come tutti gli altri, ma il Figlio di Dio fatto uomo: Lei dunque è veramente Madre del Signore e Madre di Dio… II Logos di Dio Padre è nato dalla Vergine, che fu chiamata al ruolo di mediatrice e di strumento per far nascere nella carne Colui che si era unito alla carne: l’Emmanuele è Dio. Colei che ha fatto nascere il Dio che è apparso per noi, si deve chiamare Madre di Dio”.

Poco dopo, in una lunga lettera ai monaci egiziani Cirillo ritornò sull’argomento: “Bisogna chiamare Maria Theotókos? Senza dubbio alcuno, perché ella ha concepito e partorito il Dio Verbo fatto uomo. Questo titolo è tradizionale, tutti i Padri ortodossi orientali e occidentali lo hanno accettato”. Dopo una lettera di Cirillo, scritta direttamente a Nestorio, la situazione precipitò. Cirillo aveva accusato Nestorio anche a Roma presso papa Celestino, sfruttando la non volontà romana di accettare la tendenza egemonica di Costantinopoli anche in campo religioso. Inoltre Nestorio era stato troppo indulgente per papa Celestino nei riguardi di alcuni pelagiani che si erano là rifugiati. Nell’agosto del 430, riunito a Roma un sinodo locale, papa Celestino fece condannare Nestorio e lo invitò a ritirare le sue posizioni. La condanna venne data a Cirillo perché gliela trasmettesse a Costantinopoli per ottenere la ritrattazione delle sue tesi divisive su Cristo. Il patriarca di Alessandria attese tuttavia sino a novembre per notificargliela inviandogli un’altra lettera che Nestorio avrebbe dovuto sottoscrivere, il tutto sintetizzato alla fine con i famosi “dodici punti” o “anatematismi”. In questa lettera con gli anatematismi non vi erano novità di rilievo rispetto alla seconda lettera di Cirillo inviata a Nestorio, solo si radicalizzavano le posizioni. Non si parla ad esempio di due nature in Cristo, mentre l’unità del soggetto secondo l’“ipostasi del Verbo” viene evidenziata al massimo. Cirillo quindi non portò a Nestorio la notifica romana, riunì invece i vescovi dell’Egitto, e nel novembre di quell’anno, redasse una lettera sinodale contro Nestorio, con l’aggiunta dei dodici anatemi o anatematismi, rimasti famosi nella storia della cristologia. L’imperatore Teodosio II convocò allora un concilio generale a Efeso nel 431. Cirillo, prima che arrivassero i vescovi siriani e i legati del vescovo di Roma, fece approvare la sua lettera, condannando Nestorio.

Gli anatematismi costituirono ben presto un documento a sé e di enorme difficoltà ecumenica tra le due sedi e le due cristianità (alessandrina e antiochena).
Giovanni vescovo di Antiochia, capo degli orientali, ne fece fare una confutazione da Andrea di Samosata, e un’altra ne fece Teodoreto di Cirro, costringendo Cirillo a scrivere nel 431 ben tre apologie per difendersi. Il periodo che seguì fu molto burrascoso, finché nel 433 le due parti (alessandrini e antiocheni) accettarono la formula di un simbolo di unione: “Noi confessiamo... Nostro Signore Gesù Cristo Figlio unico di Dio, Dio perfetto e uomo perfetto... Generato prima dei secoli da suo Padre secondo la divinità, e nei nostri giorni, per noi e per la nostra salvezza, lo stesso generato dalla Vergine Maria secondo l’umanità; lo stesso consustanziale al Padre per la divinità e consustanziale a noi per l’umanità. C’è stata l’unione delle due nature, perciò noi  confessiamo un solo Cristo, un solo Figlio, un solo Signore. Pensando a questa unione senza mescolanza, noi confessiamo la santa Vergine Madre di Dio, perché il Dio Logos si è incarnato”.

Cirillo nacque verso il 370. Non abbiamo notizie circa la sua giovinezza, oltre quella della sua presenza nel 404 al concilio della Quercia nel quale venne condannato Giovanni Crisostomo, per iniziativa di suo zio Teofilo allora patriarca d’Alessandria. Di questo suo zio la storia ci ha lasciato un ritratto non tanto positivo, a motivo del suo carattere ambizioso, autoritario e anche intrigante; Cirillo venne accusato di essere simile a lui. II 17 ottobre del 412 Cirillo succedette a suo zio Teofilo sulla cattedra patriarcale di Alessandria, che tenne per trentadue anni sino alla morte nel 444. Sul piano teologico egli proseguì la lotta antiariana, insistendo sulla divinità del Verbo quale soggetto unitivo anche dell’umanità assunta, il Cristo o Verbo incarnato.
La sua eredità spirituale ha come fondamento l’unicità del soggetto nel Verbo incarnato che lo ha fatto passare alla storia cristiana come il dottore dell’Incarnazione e della Madre di Dio. Tale teologia Cirillo la collega direttamente al vissuto cristiano facendone una spiritualità. Alcuni testi diretti, tutti bellissimi, ci rendono accessibile il suo pensiero. In polemica diretta con Nestorio, Cirillo precisava: “Non si può dividere l’unico Signore Gesù Cristo: in uomo a parte e in Dio a parte, ma diciamo che c’è un solo Gesù Cristo, tenendo presente la differenza delle nature e conservando l’una e l’altra senza confonderle”. In tale unità il Verbo lega a sé l’intera umanità, e porta l’esempio del covone di grano: “II Signore è come un covone. Egli ci lega tutti a Lui. Ci unisce insieme, primizia dell’umanità riunita nella fede e destinata al cielo... Anzi, quando il Signore è ritornato in vita e, in un solo atto, si è offerto a Dio come primizia dell’umanità, allora sicuramente tutti noi siamo stati trasformati in una vita novella”. Tale frutto dell’incarnazione per l’umanità è dono dello Spirito Santo che opera la rassomiglianza e conformità a Cristo. Egli scrive, in un bellissimo testo di una lettera pasquale, indirizzata al popolo all’inizio della Quaresima: “Lo Spirito ci rende perfettamente conformi a Cristo attraverso la sua virtù antificante. In effetti, egli è in un certo modo la forma (cioè la perfetta rassomiglianza) del Cristo nostro Salvatore, e imprime in noi attraverso Lui stesso la divina rassomiglianza”.