Il Papa, l'uomo
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Ci sono dei momenti che contano più di altri, è inutile negarlo. Momenti che fanno la Storia, che la cambiano per sempre. Quando succedono, lo sai, lo senti: niente sarà più come prima. Sei consapevole che sta compiendosi qualcosa di unico, che tocca l’anima e accomuna tutta l’umanità.
Avete presente l’11 settembre 2001? Siamo certi che tutti voi ricordiate con precisione dove eravate, con chi eravate e cosa stavate facendo quando avete appreso dell’attentato alle Torri Gemelle. Chiudete gli occhi, andate indietro con il pensiero: in qualche modo potete rivivere ciò che avete provato. È qualcosa di profondo, che porterete sempre dentro di voi.
Ecco, l’annuncio di Benedetto XVI è uno di questi eventi.
Quando lo abbiamo sentito, siamo rimasti senza fiato. Al principio, non ci abbiamo creduto: “No, no, non può essere…”. Abituati a un flusso ininterrotto di “piccole” notizie (le dichiarazioni di qualche politico, l’arresto di qualche dirigente, l’ennesimo crollo della Borsa), non eravamo pronti ad accoglierne una così grande. Ci siamo guardati negli occhi, increduli. Smarriti. Poi, però, la notizia è diventata ufficiale: alle ore venti del 28 febbraio, Joseph Ratzinger se ne va, lascia il soglio petrino. Le nostre emozioni, però, non si sono pacificate. Al contrario. Hanno preso a correre più veloci: lo stupore si è mischiato alla tristezza, la paura all’ammirazione, il disorientamento alla speranza.
Come tutti, ci siamo chiesti: "Perché"?
Le radio, le televisioni e i siti internet non hanno fatto altro per tutto il giorno. Giornalisti, scettici e tuttologi hanno detto la loro. D’un tratto, erano tutti esperti , ognuno aveva la sua teoria: “È malato”, “è deluso”, “è stanco”, “è arrabbiato”. E, ancora: “È un atto coraggioso”, “è una resa”, “è un gesto pieno di significato”.
È stato un effluvio.
E, in fondo, è giusto. Normale. Una simile notizia non può lasciare indifferenti.
Però.
Il nostro compito non è spiegare, indagare, cercare giustificazioni. Non ne abbiamo la competenza, non ne abbiamo l’ambizione. E, per certi versi, non ci interessa neppure. Ciò che ci appassiona, colpisce ed emoziona, è lui, l’uomo. È Joseph Ratzinger. È la sua scelta presa in silenzio e solitudine, il modo in cui l’ha comunicata: la tempistica, il linguaggio, il tono della voce. È l’umanità che lascia trasparire. E il rigore e il coraggio e l’umiltà. E l’amore per la Santa Chiesa di Dio e i suoi fedeli che, come ha detto, continuerà a “servire di tutto cuore”.
Più di tutto, però, colpisce come dall’ammissione di una debolezza emerga tutta la forza di un uomo che ha saputo rinunciare a se stesso pur di servire e abbracciare Gesù Cristo.
È una lezione straordinaria. Se ci è permesso: grazie Joseph.
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